Il dibattito sulla regolarizzazione per l’agricoltura ha fatto riemergere una cultura coloniale, strumentale e mercantile nel rapporto tra l’Italia e gli africani. E una feroce resistenza al cambiamento culturale. Il discorso sulle regolarizzazioni ha solo mostrato quello che abbiamo sempre visto, ovvero l’uso strumentale del corpo migrante e/o di origine migrante. Un déja vu dove i partiti politici si schierano da una parte all’altra della barricata, e dove anche tra i “buoni” si nascondono ancora troppe insidie. Leila El Houssi, docente di Storia del Medio Oriente presso l’Università di Firenze, e Igiaba Scego, scrittrice di saggi e romanzi, in un articolo apparso su L’Espresso dell’8 maggio, fanno rilevare come, in un momento drammatico come quello che stiamo vivendo, dove regolarizzare significa anche dotare l’intero paese di una tutela sanitaria, non regolarizzare la posizione dei migranti è anacronistico e in un certo senso inumano.