14 settembre 2008, sembra ieri. Di quella tragica alba milanese ricordiamo la brutale aggressione di Abdul Salam Guibre, 19enne italiano, originario del Burkina Faso, morto dopo essere stato colpito con una spranga in via Zuretti. “Abba”, come era soprannominato Abdul, insieme a due suoi amici, ruba due confezioni di biscotti e due barrette di cioccolato in un bar nei pressi della stazione centrale. Fausto Cristofoli, 51 anni, e suo figlio Daniele, 31 anni, titolari del bar “Shining”, accortisi del furto e convinti che i tre giovani si fossero impossessati anche del danaro in cassa, li inseguono e li aggrediscono, muniti di un bastone di legno e di un’asta metallica. Nel corso della colluttazione, i due baristi offendono i tre giovani con frasi razziste. Abba, in coma per “una ferita penetrante alla volta cranica, lesioni encefaliche e shock emorragico irreversibile”, viene portato all’ospedale Fatebenefratelli, dove muore in tarda mattinata. I due baristi vengono arrestati poco dopo.
La prima udienza del processo si svolge con rito abbreviato e a porte chiuse, nell’aprile 2009. I due uomini, tramite i loro legali chiedono scusa, «esprimendo dolore e rammarico» per quanto è accaduto. Nel luglio 2009 giunge la prima condanna: i due baristi vengono riconosciuti colpevoli di “concorso in omicidio volontario aggravato da motivi abbietti e futili” e condannati a 15 anni e 4 mesi di reclusione (essendosi il processo svolto con rito abbreviato, usufruiscono dello “sconto” di un terzo della pena, che per questo reato va dai 21 ai 24 anni). Il pm Roberta Brera aveva chiesto per entrambi 16 anni e 8 mesi. Il giudice inoltre dispone un risarcimento di 100 mila euro per i genitori di Abba e di 25mila euro per ciascuna delle sorelle. La difesa aveva invece chiesto la derubricazione da omicidio volontario a preterintenzionale e che fosse esclusa l’aggravante dei futili motivi. Dopo la sentenza annuncia il ricorso in appello.
La seconda Corte d’assise d’appello di Milano conferma, nel novembre 2010, le condanne a 15 anni e 4 mesi di reclusione, emesse in primo grado. Fatto grave e degno di nota (oltre che di sdegno) è che, nella requisitoria, non si è fatto cenno in alcun modo a possibili “motivi razziali” che avrebbero scatenato l’omicidio, e ciò perché già l’accusa in primo grado non li aveva contestati. Eppure, stando alle indagini, e a quanto riportato dalle testimonianze, i due baristi, mentre rincorrevano quella notte Abba e i suoi amici, avrebbero urlato frasi offensive e razziste (“Sporchi negri, ladri di cioccolatini, vi ammazzo”; “Venite a rubare e poi scappate … ladri ritornate nei vostri paesi”), prima di sferrare i colpi con la spranga. Né tanto meno è stato possibile far visionare alla Corte il filmato delle telecamere che hanno ripreso la scena.
Il primo agosto 2012 la prima sezione penale della Cassazione, con la sentenza n. 31454/2012, interviene a ridimensionare ulteriormente la gravità del fatto commesso.
Tralasciando il fatto che il testo della sentenza parla erroneamente di un “diciannovenne cittadino marocchino” (Abba era italiano!) e poi di “tre giovani marocchini”, vale la pena soffermarsi sulle motivazioni che hanno indotto la Corte ad annullare la sentenza di secondo grado e a disporre il rinvio a giudizio rilevando un insufficiente motivazione dell’aggravante “dei futili motivi”.
La sentenza evidenzia in più passaggi una sorta di “atteggiamento strafottente” dei tre giovani che “ridevano e scherzavano”, rispetto alla condizione “affaticata” dei due baristi (quindi, secondo la Corte, una sorta giustificazione o attenuante alla loro reazione): “i Cristofoli avevano passato la notte in bianco a lavoro con il loro furgone attrezzato per la vendita di panini e bevande, e si accingevano, senza soluzione di continuità, a proseguire tale attività nel bar; mentre i giovani stranieri vagavano spensieratamente per la città, alla ricerca di un posto che ancora consentisse loro di tirare fino al mattino inoltrato”.
La Corte nel contestare l’aggravante “dei futili motivi” così si esprime: «L’indagine omessa in funzione della valutazione della sussistenza o meno del futile motivo – si legge nella sentenza – è proprio quella attinente alla componente psichica soggettiva che indusse i Cristofoli, persone di non elevata cultura, reduci da una pesante notte di lavoro e pronti a continuare la loro attività nel bar, a reagire, seppure del tutto sproporzionatamente sul piano oggettivo, al piccolo furto commesso ai loro danni dai giovani stranieri al culmine di una notte di pellegrinanti evasioni che li rese particolarmente disinibiti e scanzonati al cospetto degli affaticati e suscettibili derubati».
Come dire: non è bastato negare l’aggravante razzista dell’omicidio, occorre ridimensionare ulteriormente la responsabilità degli autori rimuovendo l’assurdità del pretesto con il quale hanno tolto la vita a un giovane di 19 anni.