Non accogliere la richiesta di sospensiva del decreto di rigetto della domanda di protezione internazionale mentre la pandemia Covid-19 è in pieno corso significherebbe pregiudicare la tutela della salute individuale e collettiva.
E’ quanto emerge da tre decreti, due adottati dalla sezione specializzata in materia di immigrazione del Tribunale di Milano e uno dal Tribunale di Trieste, che hanno di recente accolto l’istanza di sospensiva del decreto di rigetto della domanda di protezione internazionale presentata da tre richiedenti asilo. Il mancato accoglimento della richiesta avrebbe infatti comportato la revoca del permesso di soggiorno per richiesta di asilo e la conseguente cancellazione della loro iscrizione al servizio sanitario nazionale.
Fino ad oggi, in casi analoghi, la sospensiva veniva negata, ma in questo particolare momento storico, viene accolta facendo riferimento alla situazione venutasi a creare a causa della diffusione del Covid-19. I giudici hanno argomentato le motivazioni in maniera molto articolata.
Nel primo provvedimento, datato 11 marzo, il ricorrente ha chiesto la sospensione dell’efficacia esecutiva del decreto decisorio emesso dalla sezione specializzata del Tribunale di Milano.
Innanzitutto, i giudici di Milano ricordano che “ai sensi dell’art. 35 bis comma 13, quando sussistono fondati motivi, il giudice che ha pronunciato il decreto impugnato può disporre la sospensione degli effetti del predetto decreto, con conseguente ripristino, in caso di sospensione di decreto di rigetto, della sospensione dell’efficacia esecutiva della decisione della Commissione”.
La valutazione della richiesta di sospensione deve essere fatta caso per caso analizzando se sussistano o meno “fondati motivi” che la supportano. Ed è proprio su una interpretazione ampia dei “fondati motivi” che i decreti giudiziari fondano la scelta di accogliere l’istanza di sospensiva dei richiedenti.
“La valutazione dei fondati motivi – hanno scritto i giudici – appare pertanto molto ampia e, nella parte in cui consente di valutare non solo la fondatezza dei motivi, ma anche l’irreparabilità del pregiudizio, deve ritenersi conforme ai principi sopra richiamati. Anche solo l’allegazione di elementi relativi al requisito del periculum, pertanto, può giustificare l’accoglimento della proposta istanza di sospensiva. Nell’esame del periculum non può prescindersi dalla considerazione della eccezionale emergenza sanitaria determinata dall’epidemia da virus COVID-19 e dalle eccezionali misure adottate dal Governo per contrastarla. Tali misure trovano fondamento negli articoli 17 e 32 primo comma della Costituzione italiana. La prima norma consente limitazioni alle libertà di circolazione e soggiorno per motivi di sanità e sicurezza; la seconda sancisce la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”.
In definitiva, secondo i giudici “un ipotetico rigetto della istanza di sospensione comporterebbe la revoca in capo al richiedente del permesso di soggiorno temporaneo per richiesta di asilo. Tale revoca, di conseguenza, determinerebbe l’impossibilità di osservanza delle prescrizioni dell’Istituto Superiore della Sanità a tutela della salute individuale e collettiva. La revoca del permesso di soggiorno, con la conseguente cancellazione dell’iscrizione al servizio sanitario nazionale, consentirebbe infatti al ricorrente di rivolgersi solo a cure “ospedaliere”, urgenti o essenziali, e gli precluderebbe invece la possibilità di rivolgersi al medico di famiglia per l’avvio delle procedure di monitoraggio e verifica della malattia al di fuori del circuito ospedaliero, con conseguente incremento del rischio per la salute individuale e collettiva che le misure di sicurezza mirano invece a prevenire”.
Un secondo provvedimento, del Tribunale di Trieste, in data 1 aprile, ha confermato lo stesso orientamento. “In particolare, per quanto riguarda l’attuale emergenza sanitaria COVID-19, sussistono i “fondati motivi” su cui il Tribunale è chiamato a decidere in questa sede ex art. 35-bis, comma 13, d.lgs. n. 25/2008”, si legge nel dispositivo.
Infine, un terzo provvedimento è stato emesso di nuovo dal Tribunale di Milano il 24 aprile. In questo caso, il ricorrente ha chiesto la sospensione dell’efficacia esecutiva del decreto di inammissibilità della domanda reiterata di protezione internazionale pronunciato dalla Commissione territoriale di Milano. Il ricorrente ha manifestato la sussistenza di gravi ragioni di salute che lo esporrebbero, in caso di mancata sospensione, “ad un grave danno per impossibilità di ricevere le cure sanitarie adeguate”.
Anche in questo caso secondo i giudici, “Gli elementi considerati inducono il Collegio a ritenere che l’eccezionale situazione di pandemia renda concreto ed attuale un pregiudizio grave ed irreparabile per la salute individuale e collettiva per il caso di rigetto dell’istanza di sospensione e conducano inevitabilmente all’accoglimento della stessa”.
L’importanza di questi atti è che sono motivati non sulla eventuale fondatezza dei motivi di ricorso, bensì sulla esistenza del periculum in mora (secondo una delle tante letture possibili dell’articolo 35, co.13, d.lgs. 25/08 come modificato dalla L.46/17) e tale rischio è individuato nella situazione di emergenza sanitaria in Italia, nelle eccezionali misure in vigore, nella necessità di garantire la salute individuale e collettiva.
Ancora una volta, come nel caso dei cosiddetti “buoni spesa”, sono purtroppo i tribunali a dover ripristinare la garanzia di diritti fondamentali, come quello alla salute.
E ciò accade in una situazione di emergenza sanitaria che è mondiale.