Ne abbiamo già parlato, e non poche volte. In rete sono molti, troppi, i messaggi di incitamento al razzismo e alle discriminazioni.
Corrono sui social network, Facebook in testa (solo per ricordare alcuni esempi: Condannata l’istigazione all’odio razziale su facebook, Post inaccettabili, Il razzismo della rete, Il razzismo online tra vecchie e nuove forme).
Il social network viene usato da partiti e movimenti organizzati, ma anche da gruppi o singoli, per veicolare messaggi di odio, non di rado decisamente violenti. Che poi diventano virali, complice la rete e la sua principale caratteristica, ossia la velocità nella diffusione dei contenuti, con possibilità di anonimato e conseguente de-responsabilizzazione.
Anche se, va detto, sono frequenti i messaggi di questo tipo inviati da profili personali, anche di personaggi politici. Segno che, al giorno d’oggi, il razzismo è più o meno esplicitamente legittimato. A volte minimizzato. Spesso invece diffuso con la consapevolezza della sua pericolosità.
Sono tanti anche i siti per così dire “tematici”, basati proprio sull’esclusiva trasmissione di messaggi stigmatizzanti, discriminatori, quando non esplicitamente razzisti.
Primo fra tutti Stormfront.org, “La comunità virtuale del nazionalismo bianco”, come si autodefinisce. I moderatori della sezione italiana sono stati arrestati, e il sito oscurato. Ma basta fare un rapido giro in rete per vedere che alcuni post sono stati pubblicati oggi stesso…
E’ poi da diverso tempo che circola un sito, il cui nome è già di per sé molto evocativo: si chiama “tutticriminidegliimmigrati”. Sottotitolo: “Hic sunt leones – Gli altri parlano d’integrazione, noi ve la mostriamo”.
Il sito propone una raccolta di notizie, prevalentemente di cronaca. L’unico criterio seguito per la pubblicazione è la nazionalità, assolutamente non italiana, di chi commette il reato. Questo criterio viene seguito, spiegano i gestori del sito nella sua presentazione, da un software che individua, in base a delle tags, il 40% delle notizie raccolte. “Nulla di più oggettivo e asettico”, affermano i gestori. Ci permettiamo di dissentire sull’oggettività che può avere una ricerca basata sull’esclusiva digitazione di parole chiave relative alla nazionalità delle persone. Ci sembra piuttosto che questo tipo di ricerca abbia un vizio di fondo, una forte ideologia alla base. E cioè che gli stranieri, o almeno alcuni di essi – con riferimento alla nazionalità – tendenzialmente delinquono. Siamo abbastanza sicuri di non essere smentiti: gli stessi gestori affermano che “qui non troverete crimini commessi da Giapponesi, Ebrei o Aborigeni: per il semplice motivo che non ne esistono. Troverete invece quelli di Cinesi, Zingari e Africani: per il semplice motivo che ne commettono tanti. Troppi”.
Ci viene da dire che l’unica cosa che non esiste sono questi gruppi umani, così come categorizzati dal sito, con la lettera maiuscola. Una scelta non casuale: incurante dei progressi sociologici, scientifici e genetici che hanno permesso – fortunatamente – di dimostrare l’infondatezza scientifica del concetto di “razza”, il sito lo ripropone. Specifica infatti di essere un “aggregatore di notizie esistenti sul web e riguardanti crimini commessi da immigrati. Tutti gli immigrati: senza distinzione in base a sesso, razza, etnia o status giuridico”.
A volte il sito si limita a riprendere delle notizie dalla stampa, soprattutto locale. Spesso, gli articoli sono accompagnati da brevi commenti, come “Gli italiani devono organizzarsi da sé per difendersi; in un modo o nell’altro”, “Il problema è che si riproducono. E con lo Ius Soli, i loro figli sarebbero italiani”.
Secondo i gestori, “definire questo sito razzista, è come accusare, il medico che fa la diagnosi, della propria malattia”. I contenuti sarebbero infatti “evidentemente oggettivi”. Si crede davvero che i cittadini stranieri (eccetto “giapponesi, ebrei ed aborigeni”, naturalmente) siano un unico gruppo omogeneo dedito alla criminalità e alla violenza? Pensiamo che questa non sia l’idea alla base del sito, bensì l’obiettivo dello stesso. La differenza è sostanziale: proporre esclusivamente questa tematica rimanda l’immagine del cittadino straniero come criminale, tout court. C’è poco da stupirsi, il nome del sito è già di per sé una dichiarazione d’intenti.
Abbiamo da tempo segnalato il sito all’Unar. Mentre ci troviamo in difficoltà nell’individuare le forme più efficaci per ottenerne la chiusura, il sito, e i suoi contenuti, rimangono e si diffondono, in nome di una sbandierata libertà di espressione. Un diritto che consideriamo di valore assoluto. Ma che in molti casi viene utilizzato come un pretesto per ledere le persone e contravvenire la legge (legge Mancino, introdotta nel 1993 per condannare gesti, azioni e slogan legati all’ideologia nazifascista, e aventi per scopo l’incitazione alla violenza e alla discriminazione).
Recentemente, siamo stati contattati da molti lettori: dopo aver segnalato a Facebook pagine e contenuti razzisti, venivano bloccati dal social network, che non considerava discriminatori i messaggi segnalati.
A tal proposito è recente l’ammissione di Facebook: “Abbiamo lavorato negli ultimi mesi per migliorare i nostri sistemi per rispondere ai rapporti di violazioni, ma le linee guida usate da questi sistemi non sono riuscite a cogliere tutti i contenuti che violano i nostri standard. Dobbiamo fare meglio, e lo faremo”, si legge in un post pubblicato dal team per la sicurezza. Una presa di posizione arrivata dopo che un gruppo chiamato Women, action & media ha diffuso una lettera aperta a Facebook, invitando la società a migliorare la sua risposta a contenuti che “banalizzano o glorificano la violenza contro ragazze o donne”.
La stessa cosa facciamo noi. Agendo insieme, in nome del rispetto, è possibile – e necessario – rispondere a quanti diffondono messaggi violenti, pericolosi e stigmatizzanti.