È stata pubblicata il 26 Novembre 2020 dal CERD (Committee on the Elimination of Racial Discrimination) un nuovo documento contenente delle linee guida per combattere il cosiddetto racial profiling. Con questa espressione si intendono tutte quelle pratiche di controllo (stop and search), sorveglianza e indagine messe in atto dalle forze dell’ordine sulla base di pregiudizi fondati sull’etnia, la lingua, la religione, le origini o la nazionalità. Una pratica definita dall’Arab Human Rights Committee, come si legge nel documento del CERD, in questo modo: “L’uso da parte delle forze dell’ordine di generalizzazioni o stereotipi relativi a presunta razza, colore, ascendenza, nazionalità, luogo di nascita o origine nazionale o etnica – piuttosto che prove oggettive o comportamenti individuali – come base per l’identificazione di un particolare individuo in quanto coinvolto o che è stato coinvolto in un’attività criminale, con conseguente processo decisionale discriminatorio.”
Le raccomandazioni del CERD sono state redatte da 18 esperti di Diritti Umani provenienti da diversi paesi e mirano a diventare un punto di riferimento per i 182 Stati Membri delle Nazioni Unite che hanno il dovere di adempiere agli obblighi contenuti all’interno della “International Convention on the Elimination of All Forms of Racial Discrimination”, convenzione Onu entrata in vigore nel 1969 e che ha come obiettivo la lotta al razzismo in tutte le sue forme. Ciò che ha spinto il Comitato dell’Onu a redigere le linee guida è stato l’incremento nell’uso da parte delle forze ordine di big data e strumenti di intelligenza artificiale, ad esempio il riconoscimento facciale. L’utilizzo di questi strumenti infatti rischierebbe di aumentare e intensificare razzismo, discriminazioni e xenofobia.
“I big data e gli strumenti di intelligenza artificiale possono riprodurre e rafforzare i pregiudizi già esistenti e portare a pratiche ancora più discriminatorie. Siamo profondamente preoccupati per i rischi che comporta l’uso della profilazione algoritmica utilizzata per determinare la probabilità di attività criminali”. Queste le parole di Verene Sheperd, membro del Comitato. Proprio per questo motivo, secondo il CERD, sarebbe necessario che tali sistemi di profilazione algoritmica venissero ideati e utilizzati in conformità con i trattati internazionali sui diritti umani. Proprio per raggiungere questo fine, il Comitato aggiunge che le società private che producono, sviluppano e vendono questi sistemi, oltre a divulgarli e a dover spiegare pubblicamente come funzionano, dovrebbero anche collaborare fianco a fianco con dei consulenti ed esperti legali per evitare appunto che ci possa essere qualche tipo di violazione dei diritti fondamentali dell’uomo.
La profilazione etnica essendo fortemente discriminatoria, comporterebbe anche il rischio di far nascere una profonda sfiducia da parte dei soggetti e delle comunità discriminate nei confronti delle forze dell’ordine, le quali si presuppone dovrebbero tutelare e proteggere gli individui più deboli: “Oltre ad essere illegale, la profilazione razziale può anche essere inefficace e controproducente come strumento di applicazione della legge. Le persone sottoposte a un’applicazione della legge discriminatoria tendono ad avere meno fiducia nella polizia e, di conseguenza, ad essere meno disposte a cooperare con loro.” Tutto ciò dunque, oltre ad essere profondamente discriminatorio, potrebbe avere come ulteriore pesante conseguenza la diminuzione di segnalazioni e denunce di reati da parte delle comunità vittime della profilazione etnica.
Secondo recenti analisi del Comitato per i Diritti Umani, si legge nelle raccomandazioni, i gruppi bersaglio delle pratiche di profilazione etnica sono soprattutto migranti, richiedenti asilo, afrodiscendenti, popolazioni indigene, ma anche minoranze etniche e religiose come le comunità Rom. Le preoccupazioni circa queste pratiche sono condivise anche dal Comitato contro la Tortura dell’Onu. Negli ultimi anni l’adozione di misure di controllo e sorveglianza (soprattutto da parte di poliziotti e forze dell’ordine che lavorano lungo le frontiere) basate non su criteri oggettivamente validi o ragionevoli, ma su decisioni del tutto arbitrarie hanno subito un incremento. Gli arresti, i controlli e i fermi nei confronti di questi gruppi sono aumentati soprattutto a causa di due fenomeni che hanno esacerbato intolleranza e pregiudizi nei confronti di queste specifiche comunità: il terrorismo internazionale e l’incremento del fenomeno migratorio. Con l’utilizzo di pratiche come il riconoscimento facciale, ad esempio, la xenofobia nei confronti di questi gruppi potrebbe drammaticamente aumentare. Inoltre, secondo il Comitato, vi è una stretta relazione tra la profilazione etnica e i discorsi di odio che molto spesso caratterizzano i media e la politica di oggi. L’hatespeech nei confronti delle minoranze non fa altro che accrescere negli ufficiali e nelle forze dell’ordine sentimenti discriminatori e stereotipizzanti che si riversano poi sull’uso del tutto arbitrario di pratiche di controllo e sorveglianza verso le minoranze stesse. Si tratta però di un circolo vizioso: “D’altra parte, la profilazione etnica da parte delle forze dell’ordine ritrae i gruppi discriminati come più inclini a commettere reati, il che influenzerà il discorso pubblico e contribuirà ad aumentare la diffusione dell’odio razzista.” Una pratica che arriva ad intaccare poi anche l’amministrazione della giustizia e il sistema penale. La profilazione etnica può portare infatti all’eccessiva criminalizzazione di determinate comunità e, conseguentemente può determinare tassi di incarcerazione relativi a queste stesse comunità molto più alti rispetto alla media.
Se agli stereotipi già radicati si aggiunge l’utilizzo di strumenti tecnologici che possono rafforzare ancora di più certi pensieri discriminatori, ne va da sé che le conseguenze potrebbero essere terribili: “Rischi particolari emergono quando la profilazione algoritmica viene utilizzata per determinare la probabilità di attività criminali in determinate località, da parte di determinati gruppi o addirittura individui.” Sono a rischio infatti diritti fondamentali come il diritto alla privacy, alla libertà di movimento, di associazione pacifica e di espressione.
Tra le principali raccomandazioni che il CERD ha indirizzato agli Stati Membri delle Nazioni Unite per scongiurare tutto ciò vi sono: il varo di leggi e politiche che definiscano e proibiscano la profilazione etnica da parte delle forze dell’ordine; la promozione di programmi di formazione specializzati per le forze dell’ordine che sensibilizzino gli agenti sull’impatto dei pregiudizi sul loro lavoro e mostrino come garantire una condotta non discriminatoria; la creazione di meccanismi di segnalazione per ricevere le denunce di razzismo e di profilazione etnica da parte di cittadini indipendenti dalle forze dell’ordine; l’attenta valutazione dell’impatto sui diritti umani, prima di utilizzare la tecnologia del riconoscimento facciale.
Il problema della profilazione etnica è, purtroppo, estremamente diffuso non solo, come si può ingenuamente pensare, in paesi come gli Stati Uniti, ma anche in Italia e nel resto d’Europa (basti pensare alle violente azioni della polizia francese contri i migranti degli ultimi giorni). Proprio qualche giorno fa abbiamo parlato sul nostro sito di questo tema grazie ad un rapporto realizzato dalla redazione di Occhio ai Media. È arrivato il momento di affrontare un problema troppo spesso ignorato ma che produce gravi conseguenze nei confronti di alcune comunità.
Le linee guida del CERD sono disponibili a questo link: https://tbinternet.ohchr.org/Treaties/CERD/Shared%20Documents/1_Global/CERD_C_GC_36_9291_E.pdf