“Almeno 10.000 richiedenti asilo e rifugiati in Italia vivono al di fuori del sistema di accoglienza,in condizioni di precarietà e marginalità, senza alcuna assistenza istituzionale e con scarso accesso alle cure mediche”. La denuncia arriva da Medici Senza Frontiere, che ieri ha presentato a Roma il nuovo dossier “Fuori Campo. Richiedenti asilo e rifugiati in Italia: insediamenti informali e marginalità sociale”. Una presentazione che è avvenuta a Metropoliz, ex fabbrica abbandonata nel quartiere romano di Tor Sapienza, occupata nel 2009 dai Blocchi Precari Metropolitani, e nella quale attualmente vivono circa sessanta nuclei familiari per la maggior parte provenienti da America Latina, Maghreb, Corno d’Africa, Italia. Una scelta significativa, quella compiuta da Msf, che nel rapporto ha proposto una mappatura su scala nazionale degli insediamenti informali – edifici occupati, baraccopoli, tendopoli – abitati in prevalenza da rifugiati e richiedenti asilo esclusi dal sistema di accoglienza governativo. Un lavoro, condotto nel corso del 2015, che ha permesso alla ong di sviluppare importanti considerazioni sulle “condizioni inaccettabili in cui migliaia di richiedenti o titolari di protezione internazionale, quindi regolarmente presenti nel nostro paese, sono costrette a vivere”, e di sollecitare le istituzioni affinché si impegnino per un reale miglioramento della situazione.
“In molti insediamenti informali avevamo già lavorato agli inizi degli anni duemila”, spiega Giuseppe De Mola, ricercatore di Medici Senza Frontiere che ha curato il dossier, sottolineando: “Durante la ricerca che ha portato alla stesura del rapporto, abbiamo ritrovato le persone in quegli stessi insediamenti, nelle stesse condizioni di dieci anni fa, e in molti casi in condizioni peggiori”. Non solo: Msf ha riscontrato la presenza di siti informali “in posti dove mai avrei pensato di trovarli”, racconta De Mola, riferendosi in particolare ai contesti urbani, nel Sud come nel Nord Italia. Siti in cui le condizioni di vita sono al limite della sopportazione, come ben testimoniato dal rapporto e dalle voci che vi sono raccolte: durante il lavoro di ricerca sono state intervistate 565 persone. E quello che è emerso è qualcosa che “non è sopportabile, tanto più che le persone che vivono in queste condizioni avrebbero in realtà diritto a una protezione particolare”. Le 10.000 persone “censite” nella ricerca di Msf sono infatti tutte rifugiate o richiedenti asilo che vivono stabilmente negli insediamenti informali mappati. Una “stima conservativa”, come sottolinea De Mola: secondo Msf, infatti, il quadro tracciato nel dossier rappresenta solo la punta di un iceberg. I rifugiati che vivono in condizioni di precarietà e marginalità in Italia sono in realtà molti di più, esclusi da un sistema di accoglienza inadeguato.
I dati parlano chiaro: secondo Msf, al 31 dicembre 2015, a fronte di 84.000 richieste di asilo, erano solo 30.000 i posti previsti nel sistema ordinario di prima e seconda accoglienza (il sistema Sprar), contro gli 80.000 posti all’interno di strutture di accoglienza straordinarie gestite dalle Prefetture, i cosiddetti CAS, Centri di Accoglienza Straordinaria, “gestiti in maggioranza da soggetti privi di esperienza in programmi di tutela e accoglienza”. Msf evidenzia la mancanza di linee guida chiare e omogenee e la fornitura, all’interno dei centri, di meri servizi essenziali, senza la previsione di reali percorsi di inserimento nel tessuto socio-economico del paese. Le scelte politiche intraprese negli anni, che alla cronica carenza di posti continuano ad abbinare modalità di gestione emergenziali e mai ordinarie dell’accoglienza, hanno una forte ricaduta sulla vita di rifugiati e richiedenti protezione, e sulla tutela dei loro diritti. Circa la metà dei trentacinque siti su cui si è concentrata la ricerca è priva di elettricità e acqua. L’accesso ai servizi sanitari è carente, quando non del tutto assente: i migranti in attesa di essere ammessi alla procedura di asilo non sono coperti da alcuna assistenza sanitaria pubblica, e tra i rifugiati che vivono in Italia da più anni, 1 su 3 non è iscritto al Servizio Sanitario Nazionale e 2 su 3 non hanno accesso regolare al medico di famiglia o al pediatra. Questo, nonostante la legislazione italiana sancisca il diritto di richiedenti asilo e rifugiati all’assistenza sanitaria a parità di condizioni con i cittadini italiani.
Una popolazione fantasma, costretta a vivere ai margini della società da politiche non aderenti alla realtà e da “istituzioni miopi che, quando si scuotono dall’indifferenza, lo fanno ricorrendo a sgomberi forzati, non concordati con gli abitanti degli insediamenti e senza prevedere piani di ricollocazione per gli stessi”, come denuncia Msf. Che lancia un monito rispetto all’aumento degli arrivi riscontrato negli ultimi due anni: quanto rilevato nel corso del 2015, e documentato in Fuori Campo, dovrebbe “far suonare un campanello d’allarme per quello che potrebbe accadere ai centomila migranti attualmente accolti nei centri governativi e a quanti arriveranno nei prossimi mesi”. Secondo la ong, anche queste persone, al termine del periodo di accoglienza, potrebbero andare ad alimentare quelle sacche di esclusione di cui gli insediamenti informali costituiscono soltanto una delle manifestazioni. Il rischio è che “persone in fuga da guerre e persecuzioni siano private in maniera definitiva del diritto alla salute e a condizioni di vita dignitose”.
E’ in contrasto a questa prospettiva che Msf rivolge alle istituzioni alcune sollecitazioni: poche proposte concrete per evitare che situazioni di esclusione e violazione dei diritti si moltiplichino. E’ necessario garantire l’iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale nella Asl del luogo di effettiva dimora, piuttosto che legarla alla residenza formale. Ai richiedenti asilo va assicurata l’assegnazione del medico di base subito dopo la presentazione della richiesta di asilo. I servizi sanitari pubblici devono essere rafforzati tenendo conto della realtà contestuale, e dunque della presenza di richiedenti asilo e rifugiati e dei loro bisogni specifici. Il sistema di accoglienza istituzionale deve essere urgentemente ampliato con strutture a carattere ordinario e attraverso il coinvolgimento degli Enti locali. Infine, in previsione di un loro superamento per condizioni migliori, gli insediamenti informali vanno costantemente monitorati.
Importante il monito che Loris De Filippi, presidente di MSF Italia, ha lanciato ieri nel corso della presentazione del rapporto: il ruolo delle organizzazioni della società civile è quello di esigere che i diritti umani fondamentali siano garantiti, non quello di sostituire lo Stato nell’erogazione di servizi che devono essere pubblici. Dunque ben vengano interventi di solidarietà, forme di autorganizzazione e servizi di sostegno per far fronte a situazioni di emergenza, senza però dimenticare che è lo Stato a doversi fare carico dell’accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati e della garanzia dei loro diritti fondamentali come quelli all’istruzione e alla salute.
Qui è possibile scaricare e leggere il rapporto.
Qui la scheda di approfondimento con i dati.
Serena Chiodo