Ha davvero dell’assurdo la vicenda di Saiffedine Chaffar. E sembra che il giovane tunisino di 31 anni non riesca ad avere pace neanche dopo il suo decesso. E’ arrivata ieri, nel silenzio mediatico più assoluto, una nuova sentenza per il suo aggressore e omicida, un barista di Guglionesi (CB) accusato di averlo ucciso in seguito ad un violento pestaggio. La Corte d’Assise d’Appello di Campobasso l’ha condannato a 5 anni di reclusione per omicidio preterintenzionale. La pena, concordata con il difensore, è stata ridotta rispetto al primo grado, quando il tribunale di Larino lo aveva condannato a sei anni e sei mesi, oltre che al pagamento di una provvisionale di 30mila euro.
Infatti, il giovane tunisino era stato ridotto a un vegetale, attaccato ad un respiratore, dopo il violento pestaggio subito nella serata del 4 novembre 2007 (pochi giorni dopo la morte altrettanto violenta di Giovanna Reggiani, ndr), quando si era presentato nel bar di proprietà del suo aggressore, nonché suo datore di lavoro, reclamando la giusta paga per la raccolta delle olive svolta nei suoi appezzamenti di terreno. Di fronte al rifiuto dell’uomo di pagarlo, sbeffeggiato davanti a tutti gli avventori del bar, il ragazzo in preda alla rabbia sferrò un calcio contro la vetrina. In cambio ricevette calci e pugni di una violenza inaudita che lo ridussero in coma con un’emorragia cerebrale che gli provocò un gravissimo danno neurologico. Ad aiutare il barista nel pestaggio, suo fratello, guardia penitenziaria, che dopo una prima condanna a sette anni, è stato poi assolto dalla Corte d’Appello.
Dopo ben 8 anni di sofferenze inchiodato al letto, durante una crisi respiratoria più forte, il 7 aprile del 2015, Chaffar è deceduto. Dopo il suo decesso la Procura di Larino ha deciso di riaprire il caso. Inquietante era stata la prima deposizione del medico legale, il quale era giunto ad escludere che la morte di Chaffar poteva essere “conseguenza di un pestaggio”. Anzi, ha sostenuto che la “frattura parietale sulla parte destra e l’ematoma creatosi al di sotto potrebbero essere ricondotte, con una elevata attendibilità, più alla caduta a terra e non alla colluttazione”. E poi c’è stato persino un clamoroso ribaltamento: “Quello che invece emerge, quasi inconfutabilmente, è che il soggetto viveva una condizione di etilismo acuto e ciò può certamente aver influito nell’estensione dell’ematoma e negli altri disturbi poi avuti dal giovane in quanto proprio il suo stato costituiva fattore predisponente in uno anche con gli atteggiamenti autolesionistici che pure i medici hanno segnalato insieme a generali disturbi della personalità”.
Tuttavia, una nuova autopsia ha evidenziato un nesso evidente tra la morte di Chaffar e le conseguenze dell’emorragia riportata in seguito all’aggressione del 2007. Così, il barista, dopo una condanna a due anni e 10 mesi con sentenza passata in giudicato per lesioni gravissime, nel 2015 è stato riprocessato con l’accusa di omicidio, proprio in seguito al decesso di Chaffar. E di qui la nuova sentenza di ieri.
Chaffar è morto nell’indifferenza, esattamente come quando è stato aggredito di domenica sera in quel bar gremito di gente, che pure ha visto tutto ma non è intervenuta per evitare il peggio.
I giornali e le tv del Molise hanno dato notizia del pestaggio soltanto il 10 novembre 2007, una settimana dopo. Quelli nazionali mai. Solo Liberazione, diversi giorni dopo, e il Tg3 nazionale, in tarda serata. Articoli successivi al suo decesso: rari. Quelli su questa sentenza, ancor meno.
Se un pestaggio così violento, dal sapore razzista, può essere ridotto a dei trafiletti, allora Chaffar resterà per tutti soltanto “un tunisino morto di botte”.
Una vicenda esemplare, questa. Un caso avvenuto oltre 10 anni fa. Un migrante ucciso soltanto per aver “osato” rivendicare un suo sacrosanto diritto: la sua paga da corrispondere a delle giornate di lavoro. Storie come la sua, occultate volutamente perché dannatamente vere e dunque troppo scomode da raccontare (di recente, ad esempio, abbiamo raccontato dell’episodio di violenza su Jerry).