Ieri, sette persone hanno perso la vita nell’incendio di un capannone. Erano cinque uomini e due donne, tutti di nazionalità cinese. Altre tre persone, sempre di nazionalità cinese, sono rimaste ferite, intossicate da monossido di carbonio. Le fiamme sono divampate ieri notte – domenica – sembra da un angolo cottura. Le persone stavano dormendo all’interno del luogo dove, la mattina presto, avrebbero iniziato a lavorare.
Il capannone era infatti la sede di una fabbrica tessile, dove i lavoratori dormivano in piccoli spazi sopraelevati, costruiti con cartone e cartongesso.
“Sono quasi 10 anni che sono a Prato e queste situazioni le vediamo quotidianamente”: al di là delle reazioni istituzionali, le parole di un vigile del fuoco intervistato dal Corriere della Sera sintetizzano in maniera disarmante la situazione.
Del resto, è talmente palese che la realtà – drammatica – è questa da tempo, che le posizioni dei diversi rappresentanti politici e istituzionali sembrano essere tutte sulla stessa linea.
“Quattro anni fa abbiamo alzato il velo su questa vergogna radicata a Prato nel silenzio di troppi” dichiara il sindaco di Prato Roberto Cenni, annunciando il lutto cittadino e spiegando che ha già contattato il Ministro dell’Interno “perché Prato ha necessità che venga messa in atto una soluzione che estingua il sistema organizzato di illegalità nel distretto parallelo, che vede nella promiscuità tra lavoro e residenza con abusi edilizi una pericolosissima costante”.
Gli fa eco la vicepresidente della Provincia, Ambra Giorgi: “Dobbiamo tutti farci carico di costruire una svolta nella collaborazione con la comunità cinese che ponga al centro con determinazione, insieme al principio ineludibile della legalità, quello dell’affermazione dei diritti delle persone e dei lavoratori”.
Una svolta, perchè appunto questa è una situazione presente e radicata. Non solo a Prato, come purtroppo testimoniano le altre tragedie che hanno macchiato il Belpaese, ad esempio la morte di un ragazzo senegalese, ucciso dalle fiamme che hanno divorato la baracca in cui viveva, nelle campagne siciliane dove lavorava come bracciante (ne abbiamo parlato qui).
Situazioni diverse, ma con alla base la stessa realtà: persone straniere, prive di documenti – come stanno sottolineando tutti i titoli di giornale, la prima vittima identificata è “un irregolare” – e conseguentemente invisibili allo stato italiano, prive di diritti, deboli, dunque facilmente sfruttabili in un meccanismo di sovraproduzione che cancella qualsiasi tutela dei lavoratori. Detto in due parole: schiavismo, come sottolineato da più parti.
“Ancora una volta assistiamo ad una terribile tragedia in fabbrica, dove lavoratori immigrati cinesi e le loro famiglie lavorano e vivono in condizioni impossibili e al limite dello schiavismo”, afferma il sottosegretario alle infrastrutture e trasporti Erasmo D’Angelis.
“Questa disgrazia ce l’abbiamo un po’ sulla coscienza tutti quanti – dichiara il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi sul luogo della strage – perché bisogna cominciare a vedere questa realtà per quello che è, ossia la più grande concentrazione di lavoro nero del centro Italia, anzi probabilmente dell’intera Europa”.
Da più parti arriva la richiesta di maggiori controlli, “ma ancora di più e ancora prima serve una riqualificazione urbana e territoriale della zona – sostiene il governatore toscano Rossi – Qui siamo al di sotto della soglia dei diritti umani. Le imprese che qui lavorano spesso sono soggette al racket della criminalità cinese, quindi sono esse stesse sfruttate. Ci vuole un piano di carattere strutturale di riqualificazione che metta in campo anche rapporti di collaborazione per chiarire la situazione, per capire come si combatte la criminalità, come si fa a fare emergere questo asset industriale che può anche essere propositivo e positivo”. “Questa – ha concluso il presidente della Regione – è l’area di lavoro nero più estesa del centro-nord e probabilmente dell’Europa”.
La procura di Prato, che indaga sull’incendio, si appresta ad aprire un fascicolo per il reato di “disastro colposo, omicidio colposo plurimo, omissione di norme di sicurezza e sfruttamento di manodopera clandestina”, spiega il procuratore capo di Prato Piero Tony, secondo cui “la maggior parte delle aziende sono organizzate così: è il far west”. Secondo Tony, il problema sarebbe il sottodimensionamento delle forze preposte ai controlli.
In questa giornata, stridono le parole del Ministro del Lavoro Giovannini, secondo cui “Prato è un caso particolare, possiamo definirlo un caso limite”. Un caso particolare? Non si direbbe, stando ai vari rapporti di denuncia sul tema (ad esempio qui , oppure qui).
Come invece sottolinea il segretario generale della Filctem-Cgil Emilio Miceli, “nessuno può affermare seriamente di non sapere cosa succede a Prato. Nessuno tra le istituzioni, la politica, le stesse forze sociali. Ormai Prato viene vissuta con normalità, accettata, legittimata. Chi dovrebbe vigilare non lo ha mai fatto, chi sapeva non ha mai parlato; e all’ombra di queste rimozioni si è creato un mostro difficilmente governabile. Verrebbe da dire: o lo stato di diritto, o Prato”. Anche per il segretario confederale Uil Guglielmo Loy “il dramma di Prato non è una sorpresa ed è conseguenza di una rete di economia irregolare che può produrre anche tragedie come quella di oggi”.
La strage di ieri notte non è un caso. Come tante altre nel passato, segnala un problema presente da tempo, conosciuto dai più, ma su cui nessuno si è mai preso la responsabilità di fare davvero qualcosa alla radice.
La realtà portata alla luce è spia piuttosto di un “sistema economico che li costringe a lavorare venti ore al giorno. Non hanno alternative, o lavori o perdi il lavoro che ti viene commissionato dalle grandi firme della moda italiana e che finiscono nelle mani di clienti italiani”, come spiega al Redattore sociale Matteo Ye Huiming, mediatore culturale della comunità cinese di Prato.
Intanto, la Repubblica fa sapere che “all’obitorio nessuno per ora è andato a reclamare le salme, circostanza che fa pensare agli inquirenti che anche gli altri operai morti tra le fiamme possano essere irregolari così come lo è uno dei due feriti”. Una tragedia nella tragedia: per paura di essere espulsi immediatamente, i familiari delle vittime non possono nemmeno andare a piangere i propri morti.