Demografia e contributo dei migranti all’economia italiana. Anche in giorni come questi in cui si succedono i naufragi nel canale di Sicilia, l’accordo europeo sulla redistribuzione dei migranti si rivela per poco più che un pour parler e lo spettro del ritorno della guerra in Siria fa temere una nuovi arrivi di persone in fuga verso l’Europa, anche in giorni così, è bene parlare del contributo che l’immigrazione ha dato e da al nostro Paese. E della scarsa capacità dell’Italia di attrarre cervelli o almeno di trattenere i propri.
Come ogni anno ci pensa il rapporto della Fondazione Leone Moressa a riportarci, appunto, a questioni cruciali. Quello del 2019 ha come titolo “La cittadinanza globale della generazione millennials”. Nel rapporto si parla sia dell’emigrazione dall’Italia che di quella verso il nostro Paese, ricordando come la prima sia un danno enorme, mentre la seconda, che non ha a che vedere troppo con gli sbarchi e le stragi in mare, è un contributo cruciale all’economia e alla tenuta del sistema Paese.
Ma partiamo da due numeri essenziali: la presenza straniera in Italia è stabile da qualche anno e il numero di permessi di soggiorno per ragioni di lavoro è molto più basso che negli altri Paesi europei – la Polonia ne ha emessi il 52% del totale, la Gran Bretagna il 9%, la Germania dove sono arrivate centinaia di migliaia di rifugiati, il 6%, l’Italia l’1,2% (14esimo posto in Europa per numero di permessi rilasciati). Nel 2018 la percentuale di permessi di lavoro “italiani” è del 6% sul totale dei permessi rilasciati, dieci anni fa era del 47%. Tradotto: immigrare regolarmente in Italia è molto difficile (a meno di ricongiungimenti familiari).
Nonostante la scarsa capacità di attrarre anche un’immigrazione qualificata, solo il 7,6% svolge mansioni di alto profilo, chi vive e lavora in Italia produce ricchezza, impresa ed entrate per lo Stato. Il Pil prodotto dagli stranieri in Italia è stimato dal rapporto della Fondazione Moressa in 139 miliardi, circa il 9% del totale. A questi vanno aggiunti 700mila imprenditori, con comunità come quella cinese e bangladeshi che hanno percentuali di imprenditorialità molto alte e altre comunità (la filippina) molto basse. Poi ci sono i dati sulla contribuzione, il gettito fiscale, tutti positivi: insomma, non vengono qui a sfruttare il “nostro” welfare, lo pagano e ne usano i servizi proprio come tutte le persone residenti in Italia.
C’è poi l’altro aspetto centrale di questo rapporto. La demografia. La fuga di centinaia di migliaia di giovani verso altri paesi, secondo le elaborazioni della Fondazione, sarebbe costata all’Italia circa 16 miliardi di euro. Il danno naturalmente non è solo materiale. C’è una generazione che quando non se ne va, non lavora e non studia in percentuali doppie rispetto a quelle medie europee (rispettivamente 54,6% di occupati contro il 75% europeo e 30,9% contro 17,1%) e che è meno istruito (12% in meno della media europea, non della fascia alta).
Si tratta di un problema contemporaneo come di un problema futuro: se non studi, non partecipi al mercato del lavoro oggi, tra 5-10 anni non avrai comunque grandi prospettive. Poi c’è la demografia: la fuga dei giovani e il tasso di fertilità tra i più bassi del pianeta, fanno invecchiare la media della popolazione a ritmi più veloci di quanto già non accadrebbe a causa dell’allungamento delle prospettive di vita. Secondo Eurostat nel 2050 l’Italia avrà circa 10 milioni di abitanti in meno di oggi – e questo succederebbe anche se oggi gli italiani si rimettessero a fare figli, essendo già le giovani generazioni in numero inferiore che in passato. Senza l’immigrazione, ci ricorda il rapporto della Fondazione Leone Moressa, il sistema di welfare diverrebbe insostenibile. E la società italiana più vecchia, solitaria e triste. L’alternativa è, suggerisce il rapporto, lavorare a costruire opportunità in questo Paese per tutti, giovani italiani e immigrati.