C’è una parte politica di questo Paese che spesso ironizza sulla “risorsa” immigrazione. Ironia mal riposta: cinque milioni di persone, 11,9 miliardi di contributi previdenziali, 131 miliardi di valore aggiunto pari a circa il 9% del Prodotto interno lordo, 3 miliardi di Irpef pagati. Numeri facili da imparare e capire che rappresentano il contributo (uno dei contributi) della popolazione immigrata all’economia e alla stabilità del nostro Paese. Eppure, da mesi, se non da anni, siamo qui a parlare del destino di 150mila persone, che tra l’altro sono in parte destinate a lasciare il Paese, come ha ammesso lo stesso ministro degli Interni a Radio Radicale (minuto 13: “in questo anno e mezzo hanno raggiunto parenti/gli sbarchi sono stati 22mila”).
Basterebbero questi tre numeri messi in fila dal rapporto annuale della Fondazione Leone Moressa per ricordarci come il tema centrale di cui si occupa la politica altro non è che uno strumento di propaganda per rivolgersi alla popolazione colpita dalla crisi o impaurita dai grandi cambiamenti di questo complicato periodo storico. In Italia non c’è un problema immigrazione, una crisi sociale o qualcosa di simile ma, invece, l’immigrazione è un fenomeno da governare bene e da valorizzare.
E troppo spesso quando parliamo di immigrati dimentichiamo che i 5 milioni di persone straniere stabilmente residenti nel nostro paese innervano il tessuto sociale ed economico italiano, i ragazzi popolano le scuole, gli adulti le fabbriche, i negozi, i condomini. C’è di più: il lavoro degli immigrati per lo più non è sostitutivo di quello degli italiani, come spesso qualcuno lascia intendere. Una larga parte degli stranieri che lavorano in Italia è occupata in settori di bassa qualifica (e spesso paga bassa). Tra l’altro l’incapacità del nostro mercato del lavoro di attrarre manodopera qualificata o eccellenze straniere sarà, nel medio periodo, un handicap per la nostra economia: più stranieri qualificati significa più relazioni internazionali delle università, entrature facilitate in mercati emergenti e molto altro. L’apporto economico viene anche dagli imprenditori immigrati, che sono circa il 9% del totale.
Proprio per queste ragioni servono strumenti che consentano alle persone straniere di entrare regolarmente in Italia. Con decreti flussi pensati bene e una burocrazia funzionante si ridurrebbero il numero di persone che cercano di entrare nel Paese rischiando la vita e la pressione sul sistema di accoglienza dei rifugiati, scomparirebbe l’emergenza che non c’è e diminuirebbero anche le persone che vivono in condizioni di esclusione o sono costrette, in attesa di capire quale sarà il loro status legale, a non fare nulla per mesi. E forse, proprio perché l’emergenza è uno strumento usato dalla politica, sarà difficile che questo governo intervenga prima delle elezioni europee.
C’è un ultimo aspetto cruciale di cui parla il rapporto della Fondazione Moressa: la demografia. L’Italia è il Paese che fa meno figli del pianeta, abbiamo un saldo demografico disastroso e molti giovani stanno lasciando il Paese. Senza gli immigrati – che tra l’altro lavorano molto anche nell’assistenza ai sempre più numerosi anziani – saremmo più vecchi di quanto non siamo già. Nel 2050 la popolazione in età da lavoro diminuirà, secondo le stime della fondazione, del 18%. Dal 1998 in poi, senza immigrati, la popolazione sarebbe diminuita. Oltre che fare più figli noi italiani, dovremmo accogliere le persone che arrivano per quel che sono: un aiuto a dare un futuro all’Italia.