Una scarsa attenzione ai diritti umani: questo il messaggio che emerge dall’analisi compiuta dallo Special Rapporteur delle Nazioni Unite sui Diritti dei Migranti, François Crépeau, a seguito della sua missione in Italia. Tra il 30 settembre e l’8 ottobre, Crepau ha incontrato rappresentanti del governo e della società civile e visitato diverse zone del paese e alcuni Cie, tra cui quello di Ponte Galeria a Roma, di Milo a Trapani e di Palese a Bari.
L’8 ottobre è stato pubblicato un primo resoconto della sua visita in Italia che si colloca nel contesto di un più ampio studio sui diritti umani dei migranti alle frontiere dell’Unione Europea che verrà presentato al Consiglio per i diritti umani nel giugno 2013.
La nota si focalizza sulle politiche di controllo delle frontiere e sul sistema di accoglienza e trattenimento dei migranti all’interno del territorio nazionale.
Con riferimento agli arrivi via mare, il Relatore definisce Frontex, l’agenzia per il controllo delle frontiere europee, “un servizio di intelligence e informazione”, i cui obiettivi di sicurezza (contrasto dell’immigrazione irregolare e del traffico di persone) sembrano lasciare in ombra la considerazione dei diritti umani. Il controllo delle frontiere, cui si legano gli accordi di cooperazione stretti dall’Italia con i paesi vicini, destano particolare preoccupazione: il Rapporteur lamenta “l’assenza di standard minimi per il rispetto dei diritti umani”, nonostante la condanna emessa dalla Corte Europea dei Diritti Umani ai danni dell’Italia, arrivata a seguito dei respingimenti forzati effettuati verso la Libia (caso Hirsi). A tal proposito, il Rapporteur pone l’attenzione sul recente processo verbale con cui l’Italia ha negoziato una nuova cooperazione con la Libia in materia di migrazioni, in cui mancherebbero informazioni dettagliate sull’impegno libico a rafforzare la tutela dei diritti umani dei migranti.
Anche “la progressiva esternalizzazione del controllo delle frontiere” viene criticata da Crépeau: il sostegno logistico dato dai paesi europei a Stati terzi per il rafforzamento delle strategie di intercettazione dei migranti viene visto con preoccupazione, soprattutto nel caso della cooperazione tra Italia e Libia, considerando le “persistenti difficoltà delle autorità libiche, e le violazioni dei diritti umani dei migranti in territorio libico”. Alla luce di tale situazione, il Relatore raccomanda che questi accordi “non portino a rimpatri forzati di migranti, compiuti sia dalle autorità italiane sia da quelle libiche, sostenute logisticamente dagli italiani”. Anche gli accordi con Egitto e Tunisia destano allarme: “cittadini egiziani e tunisini vengono trattenuti in strutture temporanee, addirittura aeroportuali, non accessibili alle associazioni delle società civile”. Crépeau raccomanda dunque che vengano stabilite “procedure trasparenti per assicurare la cooperazione, sempre tenendo conto dei diritti umani e della salvaguardia della dignità e dei diritti dei migranti”.
Preoccupazione viene espressa anche per quanto riguarda la pratica dei respingimenti dei migranti verso la Grecia senza che sia tutelato il diritto di asilo: “l’Italia dovrebbe proibire formalmente la prassi dei respingimenti informali e automatici verso la Grecia”, paese che, con la sentenza M.S.S. v Greece, la Corte europea dei diritti umani ha dichiarato non sicuro per i richiedenti asilo e i migranti. Secondo il Rapporteur, “tutte le autorità devono ricevere un addestramento formale sulle implicazioni che le loro azioni hanno sui diritti umani; inoltre, assistenti legali, organizzazioni nazionali e internazionali, incluso l’UNHCR e l’OIM, devono avere pieno accesso alle aree portuali e aeroportuali in cui i migranti potrebbero essere presenti”.
A proposito dei Centri di Identificazione ed Espulsione, il Relatore afferma che indipendentemente dalla terminologia che usano le autorità italiane, “questi centri sono strutture che dovrebbero essere considerate luoghi di detenzione, in base alle leggi internazionali”. Descrivendo la situazione dei Cie, il Relatore parla di “mancanza delle attività necessarie, arbitrarietà nella presa di decisioni, assistenza medica carente, scarsa assistenza legale, impossibilità di accesso per le associazioni non governative, strutture spoglie”. Viene espressa preoccupazione anche per “l’alto numero di persone che dalle carceri vengono trasferite nei Cie: dovrebbe essere avviato un processo di identificazione all’inizio di ogni periodo di detenzione, così da evitare superflui trattenimenti successivi” e il prolungamento del periodo di trattenimento nei centri fino a un massimo di 18 mesi, pur previsto da una Direttiva europea, è considerato eccessivo rispetto all’obiettivo di identificare qualcuno.
La mancanza di un’autorità con poteri investigativi sulle attività dei centri, così come l’impossibilità di accesso per la maggior parte delle associazioni e organizzazioni non governative, sono fonte di preoccupazione: il Rapporteur auspica dunque l’istituzione di “una rete di ONG, organismi internazionali, giornalisti e avvocati che possano liberamente accedere e monitorare i centri di detenzione”.
Infine il Rapporteur si sofferma anche sulla carenza di un sistema nazionale di dati dettagliati, disaggregati e pubblici sull’immigrazione e sulle politiche migratorie auspicandone lo sviluppo considerandolo indispensabile per la realizzazione di politiche migratorie capaci di rispettare i diritti umani
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