“Centri di selezione e controllo” in Africa per gestire la crisi dei migranti: sarebbe questo l’obiettivo di un incontro che il Ministro dell’Interno ha annunciato per i prossimi giorni a Roma con alcuni partner europei in un’intervista rilasciata ieri al Corriere della Sera. Da chi dovrebbero essere gestiti non è ancora chiaro.
L’annuncio non sorprende: dopo aver licenziato due decreti legge “manifesto” che ripropongono una nuova (si fa per dire) svolta sicuritaria delle politiche migratorie e di asilo, adesso l’attenzione del Ministro si concentra sull’attuazione e condivisione a livello europeo della strategia di esternalizzazione delle frontiere e del diritto di asilo, che è stata al centro del memorandum di intesa stretto con la Libia e degli accordi sottoscritti con il Sudan e con il Niger.
Che vi sia una stretta connessione tra la strategia proposta dal Ministro e gli indirizzi comunitari, sempre più concentrati sull’obiettivo di fermare gli arrivi di migranti e richiedenti asilo in Europa, sulla restrizione del diritto di asilo e sull’ulteriore sviluppo delle operazioni di rimpatrio di coloro che non sono considerati bisognosi di protezione, risulta evidente dalle ultime comunicazioni della Commissione Europea e dal documento conclusivo approvato nel vertice europeo di Malta agli inizi di febbraio.
Ciò che sconcerta sono le argomentazioni proposte per giustificare tali scelte.
«La mia preoccupazione è di salvare l’unità europea e la stabilità delle nostre democrazie così come sviluppate dal Dopoguerra ad oggi. I migranti sono la chiave di volta. Costituiscono un problema d’importanza vitale, la prima grande sfida dalla nascita dell’Europa unita. Se non sapremo risolverla perderemo gran parte delle nostre conquiste politiche, sociali, democratiche, economiche. Sarà il collasso e l’avvio di un’era buia fatta di razzismi, nazionalismi, piccoli egoismi xenofobi e auto-distruttivi»
Dunque, per contrastare le ventate di populismo, di razzismo e di xenofobia che spirano su un’Europa sempre più divisa sulla gestione delle politiche migratorie, secondo il Ministro è necessario che i governi europei chiudano le frontiere esterne, riducano la garanzia del diritto di asilo, consegnino le persone che fuggono da paesi in guerra, da violenze e persecuzioni personali nelle mani di paesi come la Libia, attraversati da conflitti interni in cui la garanzia del diritto di asilo è materialmente impossibile. Astutamente il Ministro e i suoi colleghi europei evitano di spiegare cosa succederà a tutte le persone che saranno rimandate indietro nei loro paesi. Che siano destinati a morire o a vivere sotto le peggiori dittature è un “effetto collaterale” nascosto dietro la cinica, demagogica quanto miope logica che privilegia la “difesa dei confini europei”.
“Non è assolutamente possibile continuare a ricevere chiunque sbarchi illegalmente sulle nostre coste senza imporre alcun criterio di accoglienza. La prima prerogativa della sovranità è quella del controllo dei propri confini. L’anarchia degli arrivi e il non coordinamento a Bruxelles ha invece contribuito alla Brexit, alimenta la Le Pen in Francia, porta acqua al mulino dei neonazisti in Germania, causa il malcontento populista in Italia e non solo da noi. Il paradosso odierno dell’Europa è che più sarà passiva, oppure più prevarranno le demagogie delle frontiere aperte a tutti, e più è destinata a implodere”.
Il Ministro sceglie, come avvenne già nel biennio 2007-2009 e ad opera di governi di opposti schieramenti, di cavalcare la retorica della paura optando per un approccio esclusivamente sicuritario alle grandi sfide che ci pongono le migrazioni forzate di migliaia di persone. Una scelta, questa, che sul piano simbolico e culturale avrà l’effetto esattamente opposto a quello dichiarato: sia pure indirettamente, radicherà nell’opinione pubblica l’idea che, in fondo, i movimenti xenofobi e razzisti (che stanno riuscendo a egemonizzare il dibattito pubblico e istituzionale europeo sulle migrazioni), hanno ragione.
Significa non chiudere ma aprire ulteriormente il varco alla normalizzazione della xenofobia e del razzismo in Italia e in Europa, e alla crescita di quei partiti e di quei movimenti che la auspicano e la cavalcano.
La svolta di cui l’Europa e l’Italia avrebbero necessità è completamente diversa. Se venisse applicato il blocco delle politiche di austerità, che hanno strangolato la finanza pubblica dei paesi comunitari più deboli, falcidiato le politiche di welfare e di sostegno pubblico allo sviluppo, colpito le fasce di popolazione più povere, e se questo fosse accompagnato da politiche migratorie intelligenti e lungimiranti, forse i venti di populismo stenterebbero a diffondersi.
Tre scelte potrebbero immediatamente ribaltare il clima politico, culturale e sociale dell’Europa: l’apertura di canali di ingresso “legale” ai migranti economici, la riforma del Regolamento Dublino, che porti alla cancellazione dell’obbligo di chiedere asilo nel primo paese europeo di arrivo, e l’apertura di corridoi umanitari. Queste sì eliminerebbero molte tensioni nei paesi di arrivo e nei sistemi di accoglienza, non certo la riesumazione delle politiche del rifiuto.