Nell’estate 2017, pochi giorni dopo l’entrata in vigore del “Codice di condotta” imposto da Minniti, le autorità libiche avevano aperto il fuoco su un mezzo di soccorso di Open Arms. La vicenda di questi giorni, che vede nuovamente coinvolta Open Arms, ha riconfermato l’isolamento delle navi umanitarie che ancora cercano di soccorrere vite umane in acque internazionali sulla rotta del Mediterraneo centrale, mentre l’Europa resta a guardare la caccia aperta delle autorità libiche alle imbarcazioni. “Nessuna regola del Codice di comportamento imposto da Minniti alle ONG nel mese di luglio dello scorso anno prevede che, dopo i soccorsi , le navi umanitarie debbano coinvolgere il paese di cui battono bandiera per chiedere una località di sbarco, un place of safety che, secondo il diritto internazionale dovrebbe essere indicato dall’autorità SAR responsabile del soccorso nel suo territorio, e nel più breve tempo possibile. Allarma il più recente comunicato della Guardia costiera italiana che afferma l’attribuzione alle autorità libiche della competenza di salvataggio dei migranti da soccorrere in acque internazionali“, commenta preoccupato Fulvio Vassallo Paleologo, con un interessante articolo pubblicato sul sito di Adif – Associazione Diritti e Frontiere. “Quanto successo oggi in acque internazionali agli operatori umanitari della nave di Open Arms rappresenta un ennesimo inasprimento delle politiche di contrasto dell’immigrazione sulla rotta del Mediterraneo centrale – conclude Vassallo-. Oltre ai barconi, ed agli esseri umani, sta affondando anche il diritto internazionale“.
Minniti con la Guardia costiera “libica” affonda il diritto internazionale. Ancora fango sulle ONG
di Fulvio Vassallo Paleologo
Ancora una volta durante una operazione di soccorso in acque internazionali, ben lontano dalle acque territoriali, una motovedetta libica ha cercato di sequestrare persone che erano state già soccorse da un gommone di servizio alla nave umanitaria della ONG spagnola Open Arms, intimando la “restituzione” di donne e minori per ricondurli in un centro di detenzione a Tripoli.
Già lo scorso anno, pochi giorni dopo l’entrata in vigore del “Codice di condotta” imposto da Minniti, ad agosto, i libici avevano aperto il fuoco su un mezzo di soccorso di Open Arms. La vicenda di oggi ha riconfermato l’isolamento delle navi umanitarie che ancora si ostinano a soccorrere vite umane in acque internazionali sulla rotta del Mediterraneo centrale, mentre le navi di Frontex sono state ritirate e gli assetti navali dell’operazione Eunavfor Med, rinforzati anche da unità della Marina militare italiana, stanno a guardare la caccia dei libici alle imbarcazioni ,che malgrado la intensificazione della lotta contro i trafficanti, continuano a partire dalla Libia non appena le condizioni meteo migliorano.
Adesso arriva anche una ricostruzione dei fatti, proveniente dalla sedicente Guardia costiera libica, e diffusa dal Giornale, che oltre a gettare il consueto fango sulle ONG, sollecitando forse qualche procura ad aprire ulteriori indagini, conferma ancora una volta, dopo diversi episodi precedenti, il grado di coordinamento e la corresponsabilità della Marina militare italiana con i libici, in realtà soltanto con quelle milizie a terra ed a mare che rispondono al governo Serraj. Un grado di coordinamento che configura precise responsabilità del governo italiano nella intercettazione in mare in acque internazionali resa possibile solo grazie alle attività di monitoraggio e di “richiamo” dei libici, ai quali si indica la preda da raggiungere, attività coordinate poste in essere da mezzi aerei e navali che battono bandiera italiana. Di fatto gli italiani avvistano e, piuttosto di intervenire con le doverose attività di soccorso, chiamano i libici per operare quelli che sono veri e propri sequestri di persona in acque internazionali. Poi non interessa a nessuno la sorte delle persone riportate a terra nei centri di detenzione, anzi qualcuno tenta anche di accreditare la voce che sarebbero le ONG, quelle che lo scorso anno si definivano “taxi del mare” e non la Guardia costiera libica, supportata dalla marina italiana ( mai così in minuscolo), a mettere in pericolo la vita delle persone. Le prove fornite dai libici ed addotte dal Giornale contro le ONG sono un boomerang contro la marina italiana.
Clicca qui per continuare a leggere l’articolo