A Minneapolis una giuria popolare di 12 membri ieri ha riconosciuto colpevole l’ex poliziotto Derek Chauvin per tutti e tre i capi di imputazione di cui era stato accusato: omicidio colposo di secondo grado, omicidio di secondo grado e omicidio di terzo grado dell’afroamericano George Floyd, fermato intorno alle 20,00 il 25 maggio 2020 da quattro agenti e morto dopo essere stato immobilizzato a terra con la forza per quasi nove minuti. La pena sarà definita dal Giudice entro due mesi. Per gli altri tre agenti coinvolti il processo inizierà invece il prossimo agosto.
Le immagini video di quel fermo girate da alcuni testimoni hanno documentato quello che avvenne quella sera, quando a seguito della segnalazione da parte del gestore di un negozio di una banconota falsa che sarebbe stata utilizzata da Floyd per pagare un pacchetto di sigarette, la polizia lo prelevò (senza incontrare resistenza) dalla sua auto parcheggiata nei pressi del negozio, lo ammanettò, prese i suoi dati e, nel tentativo di introdurlo in un Suv, lo immobilizzò con la forza a terra. Gli agenti coinvolti nel fermo furono quattro, ma fu il ginocchio di Derek Chauvin a premergli il collo in quei lunghi, infiniti minuti nonostante quel “Non posso respirare” pronunciato più volte da George Floyd imponesse di cessare immediatamente quella violenza gratuita.
Proprio grazie a quelle immagini video le proteste del movimento Black lives matter sollevarono la società americana per chiedere giustizia e protestare contro decenni di soprusi e di razzismo sistemico subito dalla comunità nera. L’evidenza dell’ingiustizia di quella violenza istituzionale che tornava una volta ancora a colpire un uomo afroamericano per mano della polizia fu talmente eclatante che le proteste si estesero presto in tutto il mondo.
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Quella di ieri è una decisione molto importante. Che un poliziotto bianco sia riconosciuto colpevole dell’omicidio di un cittadino nero è evento più unico che raro in un paese in cui il razzismo è sistemico e strutturalmente interno alle forze di polizia. Si tratta di un precedente destinato ad avere una grande importanza simbolica nella lotta contro il razzismo negli Stati Uniti, ma anche in Europa.
Ci ricorda che non tutto è lecito. E non deve esserlo neanche per le forze di polizia la cui impunità, se compiono ingiustizie, soprusi e violenze può e deve essere infranta.
Ci racconta che, senza la disponibilità di quei video e delle testimonianze di chi ha documentato quello che è successo quella sera e senza l’imponente mobilitazione della società americana tutta (bianca e nera), l’esito sarebbe stato molto diverso. Contro le violenze razziste, anche quando sono compiute dalle istituzioni, si può, anzi è doveroso, reagire.
Un verdetto di condanna non cambia da solo la storia, non basta a sconfiggere il razzismo e le diseguaglianze e le discriminazioni strutturali negli Stati Uniti come in Europa.
Cionondimeno, quei 12 giudici popolari hanno fatto la scelta giusta ed oggi è un bel giorno.