«Missione #Libia, si parte!», ha annunciato twittando ieri mattina dal suo profilo il Ministro dell’Interno. E salito su un aereo militare, ha poi raccontato con altri post e dirette Facebook i momenti della missione. All’indomani del mini vertice di Bruxelles, durante il quale il premier Giuseppe Conte ha presentato la proposta italiana sulle migrazioni, il vicepresidente del Consiglio ha effettuato la prima trasferta estera a Tripoli.
Dopo aver ricevuto il no alla creazione di hotspot in Libia da parte del vicepresidente Ahmed Maiteeq “Noi rifiutiamo questa proposta. I campi per migranti non sono consentiti dalla nostra legge”, il Ministro ha proposto di crearli a sud della Libia (in Niger, Mali, Chad e Sudan), per evitare che “Tripoli diventi un imbuto, come l’Italia”. “Già giovedì a Bruxelles sosterremo, di comune accordo con le autorità libiche, il fatto che i centri di accoglienza e identificazione vadano allestiti a sud della Libia, alle frontiere esterne della Libia, per aiutare sia la Libia che l’Italia a bloccare l’immigrazione che stiamo subendo entrambi”, ha dichiarato in conferenza stampa. L’idea di bloccare le migrazioni a Sud del paese libico la conosciamo già: il memorandum d’intesa firmato dal governo precedente il 2 febbraio 2017 aveva esattamente lo stesso obiettivo. Il testo del memorandum firmato allora è disponibile qui.
Il ministro ha spiegato di aver “chiesto di visitare un centro di accoglienza e protezione” che “entro un mese sarà pronto per 1000 persone con l’Unhcr” per “smontare tutta la retorica nella quale in Libia si tortura e si ledono i diritti civili”. Sarà pronto fra un mese dunque è ancora in costruzione, ma questo è bastato per dichiarare che “sarà all’avanguardia”. Giustamente Riccardo Noury (Amnesty International) ha fatto notare che per “smontare la retorica dei diritti umani” basterebbe non torturare e rispettarli.
L’Italia fornirà inoltre una «ventina di imbarcazioni» alla Guardia costiera libica e continuerà a formare i suoi militari «attraverso l’operazione Sophia». Anche questo è un ritorno passato, quello dell’ex ministro Maroni e del più recente ex ministro Minniti.
Da diverse fonti comunitarie, si apprende oggi che la Commissione europea sta valutando la possibilità di lavorare ad intese con Marocco, Tunisia e Niger, dove sono già presenti apparati di Unhcr (Alto Commissariato Onu per i Rifugiati) e Oim (Organizzazione internazionale per le migrazioni), sul modello dell’accordo Ue-Turchia, per gestire i flussi migratori sulla rotta del Mediterraneo centrale (ANSA). L’ipotesi è stata presentata durante una riunione del Coreper (Comitato dei Rappresentanti Permanenti degli Stati membri) dedicato ai Balcani. E non è un caso, il fatto che il presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, si recherà in Niger per una visita ufficiale dal 16 al 18 luglio. La missione, si legge nella nota della presidenza, si concentrerà su tre aspetti: sicurezza e stabilità, migrazione e investimenti necessari (ANSA).
La domanda che ci facciamo ora è la seguente: ma il Ministro dell’Interno ha visitato anche le altre decine di centri di detenzione dove altrettante decine di migliaia di migranti hanno vissuto e vivono in condizioni orribili e sottoposti ad ogni tipo di violenza e sopruso? O ha basato la sua constatazione solo su un centro che verrà aperto in futuro? Le affermazioni del ministro danno una immagine distorta della realtà attuale della Libia e sono particolarmente gravi: sia perché non tengono affatto conto delle centinaia di pagine di report internazionali che da tempo denunciano le gravi condizioni dei migranti nei campi libici, nonché dei numerosi documentari condotti da giornalisti di frontiera; sia perché nessun esponente del governo né delle istituzioni italiane si è sentito in dovere di rettificarle né di smentirle.
Dalle ong è stato espresso forte dissenso per le parole del ministro. Anne Garella, capomissione di Msf Italia, ha dichiarato: “Molti dei pazienti che assistiamo a Roma sono passati attraverso la Libia dove sono stati torturati e maltrattati. Per noi che vediamo ogni giorno le conseguenze fisiche e mentali delle torture, è fondamentale esprimere il nostro dissenso di fronte a chi parla di retorica della tortura”. Anche MEDU, con il “Rapporto sulle condizioni di grave violazione dei diritti umani dei migranti in Libia”, basato su migliaia di testimonianze dirette, ha documentato che nell’arco di quattro anni il paese si è trasformato in una sorta di grande lager per i migranti, sottoposti a violenze ed abusi gravissimi; un paese dove si commettono crimini contro l’umanità, in modo sistematico e su vasta scala; un paese che è diventato un luogo di morte e di tortura per centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini.
Lo ribadisce anche Amnesty International, nel suo Report sulla Libia 2018: migranti, rifugiati e richiedenti asilo sono stati vittime di diffuse e sistematiche gravi violazioni dei diritti umani e abusi da parte delle guardie dei centri di detenzione ufficiali, della guardia costiera libica, dei trafficanti di esseri umani e dei gruppi armati. Queste persone sono state trattenute in drammatiche condizioni di sovraffollamento, senza accesso a cure mediche e a un’adeguata alimentazione ed erano sistematicamente sottoposte a tortura e altri maltrattamenti, compresa la violenza sessuale, duri pestaggi ed estorsioni. Benché il Dcim controllasse formalmente tra le 17 e le 36 strutture, i gruppi armati e le bande criminali gestivano migliaia di siti illegali in varie parti del paese, come parte dell’attività redditizia del traffico di esseri umani.
Con una breve analisi, Oxfam e Borderline Sicilia hanno anche loro fornito un primo bilancio dell’accordo Italia-Libia e delle politiche ad esso collegate ad un anno di distanza dall’accordo stesso, ricostruendo quanto accaduto in mare, la situazione vissuta da migliaia di persone nei centri ufficiali (e non) presenti in Libia, e la risposta umanitaria messa in campo dalle Agenzie delle Nazioni Unite. Questo, al fine di comprendere meglio la realtà celata dietro al risultato principale rivendicato dal Governo Italiano, ovvero la diminuzione nel numero di migranti sbarcati (-34,24%, 62.126 persone) sulle nostre coste tra il 2016 e il 2017.
Ma se ciò non dovesse essere sufficiente al ministro, si sono espressi a riguardo tanto il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres («I migranti sono stati sottoposti a detenzione arbitraria e torture, tra cui stupri e altre forme di violenza sessuale», basando le dichiarazioni sulle inchieste di Unsimil, la missione Onu a Tripoli), attraverso il documento consegnato al Consiglio di sicurezza il 12 febbraio scorso; quanto l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, con il rapporto “Abuse Behind Bars: Arbitrary and unlawful detention in Libya”, dell’aprile 2018, secondo cui sono migliaia le persone detenute nelle carceri del Paese in modo arbitrario e in condizioni disumane, senza accesso all’assistenza legale.
E potremmo andare avanti a oltranza.
Quindi: di quale retorica parliamo? Sappiamo, da fonti e documenti certi, che i migranti, nel loro passaggio in Libia, subiscono violenze e abusi di ogni tipo. Cosi come sappiamo che è davvero difficile che si riesca a “guarire” completamente dopo traumi di questo tipo.
Di certo, l’orrore è sempre vivo. All’avanguardia.
Paola Andrisani