L’allarme, pochi giorni fa, correva su Facebook. “Sono negli studi di rete veneta e qui fuori ci sono 30 esponenti dell’estrema destra che sono venuti a darmi il “benvenuto”! “, scriveva il 20 novembre sulla sua bacheca. E la sera al telefono: “Sentiamoci domani, perché oggi è stata una giornataccia”. Lui è Said Chiabi e lo avevamo cercato per capire come sia possibile che, ancora oggi, un ragazzo di origine marocchina nato e cresciuto in Italia, votato in Consiglio comunale in una città come Treviso dove è capogruppo di Sinistra Ecologia e Libertà possa essere oggetto di continue minacce, aggressioni – queste ultime non continue, ma neanche sporadiche – e, allo stesso tempo, rappresentare uno dei volti più avanzati e partecipativi della città veneta.
Questo è Ben Chaibi, in qualche modo una contraddizione vivente. Il travaglio di un paese in cambiamento fatto ragazzo. Chaibi ha 23 anni e da poco tempo ha cominciato la sua esperienza nelle istituzioni di Treviso, dove vive con la sua famiglia da quando aveva un anno. Le porte del Comune si sono spalancate a questo giovane “capellone” e con una incredibile vitalità in un momento di grosso cambiamento a Treviso: per la prima volta da 20 anni, nelle elezioni dello scorso giugno, ha vinto una coalizione di centrosinistra. E il più votato di Sel è stato lui, Said Chaibi che si è guadagnato così il ruolo di capogruppo (quello di assessore lo ha rifiutato “sono troppo giovane”).
Nella città che per decenni è stata la patria incontrastata della destra e della Lega, Said è cresciuto. Mentre Gentilini costruiva dal fortino di Treviso l’ideologia razzista del Carroccio, il giovane Said diventava grande senza particolari problemi. Andava a scuola e aveva un sacco di amici. Il pensiero che fosse “diverso” non lo sfiorava. Ma il suo incontro con la politica nasce a causa di un episodio di razzismo. Aveva quindici anni. “Stavamo suonando con il mio gruppo – ricorda Said – Ne facevamo parte io e il mio migliore amico. A un certo punto io entro in ritardo su una strofa, o almeno il mio amico mi accusa di questo, anche se ci tengo a dire che non era affatto vero!! E lui mi fa: “vai a ritmo, negro di merda” “.
Per Said è un pugno in piena faccia. Molla tutto, se ne va, scappa. Fa la strada verso casa con il viso rigato di lacrime. Passa davanti alla sede di Rifondazione Comunista: “C’era un manifesto contro il razzismo – racconta – sono entrato e ho detto: mi voglio iscrivere”. Nella sede c’è il segretario dei giovani comunisti. Ascolta la sua storia, lo consola. Gli dice: “Aspetta prima di iscriverti, torna a casa e pensaci su”. Ma lui insiste: vuole quella tessera. Da allora la politica per Said diventa un modo per affermare se stesso, la sua identità, il suo essere trevigiano, italiano, figlio di marocchini. Da subito il suo è un impegno a tutto tondo. Le politiche di “seconda generazione” lo appassionano: “Fanno parte di me”. Ma è uno dei leader dei movimenti studenteschi contro i tagli alla scuola pubblica della Gelmini. E’ in prima linea nella difesa dell’ambiente della sua città. Forma la sua coscienza pensando che “la politica è un modo per cambiare il mondo, e per cambiarlo in meglio”. Insomma, per cambiare lo stato delle cose.
La sua faccia nera, la sua militanza politica a sinistra, ne fanno un bersaglio ideale. Ma non tanto per la Lega, quanto per la destra fascista. Di cui ha assaggiato più volte la violenza squadrista. Proprio l’altro giorno era in tribunale per un processo contro alcuni fascisti che lo hanno aggredito sotto casa, dopo una manifestazione per la scuola pubblica. “Mi hanno aspettato, teso un agguato. E io quel giorno alla manifestazione neanche c’ero”. Il giudice ha ritenuto congruo un risarcimento di 1000 euro. “Fatto sta che uno di loro stava alla manifestazione del 20 novembre contro di me fuori dalla tv locale, dove ero stato invitato per un dibattito”. In questi giorni Said è sotto tiro perché ha proposto di inserire l’insegnamento della lingua e della cultura araba nelle scuole, progetto velocemente riscritto e propagandato come “lezioni di burqa” da una parte della Lega. Il partito di Maroni ufficialmente non si è mai dissociato da queste ostentazioni verbali, che creano terreno buono per chi passa alle mani. “Ma il rappresentante della Lega in Consiglio comunale sì”, dice Chaibi “non ho mai fatto sconti a loro e alle loro politiche razziste. Ma conoscono il mio lavoro in consiglio comunale, conoscono me. E i nostri rapporti sono franchi e civili”.
Possibile? Evidentemente sì, anche quando il razzismo è teorizzato e non solo praticato quotidianamente al bar o sul bus. Said è consapevole del cuore cangiante del razzismo, che alza muri invalicabili e si sgretola di fronte a quella singola persona che conosci e impari a apprezzare. “Ma certo, questo non basta”, soprattutto in un paese che sta cronicamente rimandando i conti con la realtà mutata della composizione della sua popolazione. “Mi hanno votato in tanti, e mi hanno votato anche quelli che durante la campagna elettorale mi parlavano male dei ‘negri’. Per questo penso che il mio ruolo sia importante”. Un sassolino nell’ingranaggio mentale di chi raffigura gli “altri” come intrinsecamente diversi e da allontanare.
Ma questo non è sufficiente per dare una svolta progressista a un paese imprigionato da paure e vecchi retaggi. “L’unica via per abbattere i pregiudizi è la via dei diritti. Riconoscere diritti, con convinzione e spiegandone le ragioni. Questo è un paese che ghettizza, esclude, impoverisce, mette ai margini e toglie pari opportunità alle persone di origine immigrata. Questo è il problema. Bisogna aprire i concorsi pubblici alle persone straniere, bisogna riconoscere il diritto di voto, bisogna riconoscere come cittadino chi nasce e cresce qui. Queste sono cose che dovrebbero essere ovvie”. Invece non lo sono, e il tarlo del razzismo, dell’inferiorizzazione dell’altro lavora indisturbato anche in un clima di apparente calma. E esplode davanti alla prima “stonatura”, come è capitato al miglior amico di Said.
E non basta che la politica dia spazio a questi temi, è necessario che siano le persone a diventare protagoniste, prendere parola, essere capaci di parlare per loro stessi. “E’ un lavoro lungo, difficile – dice Said Chaibi – Ma senza dubbio è reso ancora più difficile da organizzazioni di partito sclerotizzate, che non riescono a aprire spazi, dare fiducia. Rischiamo, anche a sinistra, di cadere nella politica del ‘santino’, del nero giusto al posto giusto. Io sono felicissimo che la ministra Kyenge sia stata nominata, ma sarei mille volte più contento se fosse stata nominata ministro della Sanità, visto che è un medico. Invece lei che è nera fa la ministra dell’Integrazione e alla Sanità abbiamo Lorenzin, che non mi risulta abbia particolari competenze”.
Su entrambi gli aspetti Chaibi è un esempio di come dovrebbe e potrebbe essere: è stato capace di sbaragliare qualsiasi tipo di schema; parla di sé ma anche di altro; ha le idee chiare e una grande passione: la politica. Però Chaibi è soprattutto un’eccezione: “E’ vero, ma sto lavorando insieme ad altri perché diventi una normalità”.