Ieri, 16 marzo, si è diffusa la notizia del primo migrante risultato positivo al test del Coronavirus. L’uomo è ospite in un centro di accoglienza che si trova a Milano in via Fantoli, in zona Mecenate. Si tratterebbe di un giovane, che non presenta sintomi gravi, ed è ora in isolamento, così come i suoi compagni di stanza. Sono stati attivati da subito i protocolli del caso, con le procedure di emergenza che prevedevano l’isolamento, la sanificazione dei locali e il trasferimento di parte dei 160 residenti in una palazzina poco distante dal centro di via Fantoli. Le notizie che trapelano dalla prefettura sono “tranquillizzanti” e sottolineano che la gestione della struttura è sotto controllo.
E’ altresì evidente che questo caso torna ad accendere l’attenzione dell’opinione pubblica sulle condizioni di vita e sulla sicurezza sanitaria delle persone che si trovano in condizioni abitative precarie, dei migranti e dei senzatetto.
Ad oggi i contagi nella regione Lombardia sono arrivati a 14.649 positivi al coronavirus, nella sola città di Milano sono 1983 e, gli ospedali registrano un costante afflusso giornaliero di persone infette da Covid-19.
In questa situazione così difficile, “Il Giornale” non rinuncia ad allarmare l’opinione pubblica con titoli eclatanti come quello di oggi (La bomba immigrati e il virus. Tutti quei contagi “silenziosi”), mentre il presidente della regione Friuli Venezia-Giulia, Massimiliano Fedriga suggerisce “la sospensione del permesso umanitario o comunque del diritto di rimanere sul territorio nazionale”, per gli ospiti dei centri di accoglienza che non rispettano le misure di sicurezza per coronavirus.
Ci teniamo a ricordare che, ad oggi, non è ancora stato varato alcun provvedimento dal Ministero dell’interno, al fine di prendere in carico la garanzia della sicurezza sanitaria delle persone presenti nel sistema di accoglienza e di detenzione, ma l’emergenza coronavirus consente deroghe alla normativa in materia di appalti con affidamento diretto a soggetti in grado di garantire a tutti la complessiva salute pubblica, come sottolinea l’appello rivolto la settimana scorsa ai Comuni, alle Prefetture e al Ministero dell’interno, per chiedere il blocco di nuovi ingressi nei Cpr e la progressiva chiusura delle strutture.
Come spiegato da Anna Brambilla di Asgi a Redattore Sociale “la prima preoccupazione riguarda gli insediamenti informali, per questo abbiamo già chiesto alle regioni di rendere possibile a tutti l’accesso all’acqua, anche ai lavoratori stagionali. Parallelamente stanno chiudendo i servizi a bassa soglia, che assicuravano alle persone la possibilità di mangiare e fare una doccia”.
Sempre Anna Brambilla spiega alcune ipotesi di lavoro possibili: “da quella di creare nuovi posti in accoglienza ma in strutture più piccole, così da avere una maggiore distribuzione delle persone e consentire anche eventuali casi di isolamento. Un’altra possibilità è favorire l’ingresso in accoglienza di chi è oggi escluso dopo una valutazione sulle condizioni di salute, mediante un tampone. Si può pensare anche alla sospensione straordinaria dei provvedimenti di revoca in accoglienza, accelerando quel percorso che il ministro Lamorgese aveva annunciato”.
Preoccupano in modo particolare il sovraffollamento di alcune grandi strutture e lo scarso accesso alle cure e ai servizi igienici delle persone che vivono negli insediamenti informali.