Speravamo non aprisse più. Non dopo le parole del presidente della Camera penale di Milano, che l’aveva definito “una struttura ideologica che serve solo a tranquillizzare la pancia di questo Paese [..], peggio di un carcere”. Non dopo le rivolte, le denunce. Invece, il Cie milanese di via Corelli riaprirà. Quest’estate, con 140 posti e 40 euro pro die per detenuto, dopo tre mesi di chiusura “per ristrutturazione”. Le virgolette sono d’obbligo, per sottolineare che la struttura è stata sottoposta a lavori non per l’usura del tempo, bensì per le continue rivolte delle persone detenute da mesi, private della propria libertà personale in condizioni inumane e degradanti solo perchè senza regolare permesso di soggiorno.
Il Prefetto Francesco Paolo Tronca ha firmato l’appalto che dà alla società francese Gepsa la gestione della struttura, mentre dei detenuti si occuperà l’associazione culturale di Agrigento Acuarinto. La Gepsa, di proprietà della multinazionale dell’energia Gdf Suez, in Francia si occupa, guarda caso, di carceri (Gepsa sta infatti per Gestion etablissements penitenciers services auxiliares), ed è già stata coinvolta nella gestione dei Cie italiani: nel 2011 ha vinto la gara d’appalto per il Cie e per il Cara di Gradisca d’Isonzo, insieme alla cooperativa romana Synnergasia e alla stessa Acuarinto. Gestione che in realtà è stata bloccata sul nascere a causa di vizi e irregolarità, e per cui la Gepsa ha ancora aperto un contenzioso. Questione aperta anche per quanto riguarda il Cara di Castelnuovo di Porto (Roma), gestito per due anni dalla Gepsa, che ha iniziato poi una battaglia legale con la nuova società vincitrice dell’appalto, la cooperativa Eriches29.
“Mi opporrò alla riapertura. Chiederò spiegazioni alla Prefettura di Milano e al Viminale”, annuncia il deputato del Pd Khalid Chaouki, aggiungendo: “Ci aspettiamo una indicazione precisa sul tema Cie, ma fino adesso, rispetto all’esecutivo di Letta, questo governo ha poca chiarezza negli obiettivi”.
Di fianco al Cie è previsto anche un centro di accoglienza per richiedenti asilo: “la conferma – dichiara l’assessore alle Politiche sociali del Comune di Milano Pierfrancesco Majorino – che i Cie sono luoghi di detenzione. Avevo chiesto che quello di via Corelli non venisse riaperto, ma trasformato in un luogo d’accoglienza. Un’occasione persa”.
L’obiettivo del centro è “il controllo”, denuncia il Naga. Per questo, “il fatto che sia dannoso, inutile, disfunzionale, diseconomico, un buco nero dove vengono ogni giorno violati i diritti dei cittadini stranieri reclusi, non ha nessuna rilevanza perché l’obiettivo non è né l’identificazione, né l’espulsione”. Inoltre, “dato che la ristrutturazione è avvenuta a seguito di una distruzione da parte dei detenuti e visto che le ribellioni interne sono state l’unica vera forma di contrasto ai CIE, immaginiamo che la nuova versione del CIE conterrà strumenti e dispositivi che tenteranno di neutralizzare ogni forma di rivolta attraverso meccanismi di sottomissione e costrizione”, sottolinea Luca Cusani, presidente del Naga. “Nel vuoto abissale della politica è evidente, una volta di più, che l’ordine pubblico e le carceri rimangono i soli strumenti per non- affrontare l’immigrazione: un fenomeno della realtà e non un’emergenza da dover controllare!”.
Come afferma giustamente Cusani, spesso in merito a questioni legate all’immigrazione si parla di emergenza e imprevedibilità. Ma è da molto tempo che attivisti e associazioni denunciano le condizioni in cui versa il sistema Cie – condizioni che sono alla base delle proteste dei detenuti – e ne chiedono la chiusura. Ancora una volta, l’atteggiamento della politica appare miope e sordo. Fino alla prossima “emergenza”?