“Oltre che essere costi disumani, sono costi che andrebbero ascritti a tutti gli effetti ai costi della politica: sono vere e proprie spese elettorali”. Battuta ad effetto, ma non troppo lontana dalla realtà dei fatti, quella del responsabile dell’immigrazione dell’Arci, Filippo Miraglia, che è stato tra gli ospiti della tavola rotonda durante la presentazione del Dossier di Lunaria sui costi dell’immigrazione, dal titolo “Costi disumani. La spesa pubblica per il contrasto all’ ‘immigrazione irregolare’ “”.
Un momento di riflessione e dibattito interessante, che fa da pendant all’impegno del team di Lunaria nello stilare il dossier: perché non si tratta solo di fare il punto sulle spese – e comunque ci vuole anche questo – ma di partire dai numeri sia per individuare le responsabilità di chi ha voluto per tanti anni spendere male e inutilmente, sia per capire dove invece andrebbero messi i soldi per smontare il discorso della paura dell’immigrato e ingranare quello dell’accoglienza efficiente e utile a tutti.
Di mettere il naso nei costi della politica sull’immigrazione se ne è occupata – come ha ricordato la presidente di Lunaria Grazia Naletto – per l’ultima volta nel 2004 la Corte dei Conti: “E chiediamo che torni a farlo al più presto – ha detto Naletto – sia perché la Corte ha strumenti ispettivi che certo non abbiamo noi, sia perché è essenziale che sia una istituzione a mettere in fila questi numeri, per l’autorità di richiamo che può avere nei confronti della politica”.
Nonostante l’associazione Lunaria abbia infilato in ogni possibile anfratto del Dossier la specificazione che la volontà di mettere in luce lo spreco di denaro pubblico sul contrasto dell’immigrazione irregolare non ha come scopo quello di chiedere politiche più repressive bensì – al contrario – di dimostrare come il paradigma della repressione sia stato un mega-spreco statale sulle spalle di tutti i contribuenti, qualche testata ha veicolato il messaggio opposto. Eppure Naletto lo ha ripetuto anche in conferenza stampa: “Sono costi che innanzitutto pesano sulle spalle dei migranti, che per primi patiscono le conseguenze di questa criminalizzazione”. Il Dossier serve per chiedere a governo e parlamento di muoversi su questo tema, proponendo politiche alternative che guardino all’accoglienza piuttosto che alla repressione: Lunaria lo afferma convinta che questo approccio sarebbe più efficace e più efficiente. Dove cominciare? “Almeno, nell’immediato, accorciando il più possibile il tempo di detenzione all’interno delle strutture dei Centri di identificazione”, una delle voci in cui lo spreco è più evidente, ha detto Naletto.
Eppure è stato anche il responsabile immigrazione della Cgil Piero Soldini, a mettere in guardia da altri possibili paradossi: “Sottolineare quanto costa il contrasto dell’immigrazione irregolare serve per chiedere politiche diverse, e non per giustificare chi, proprio ora, sta assegnando i nuovi bandi per la gestione dei Cie con la pratica del massimo ribasso: in questo modo non si fa altro che abbassare gli standard, costringendo chi è rinchiuso nei Cie a subire condizioni peggiori”.
Tuttavia, come ha evidenziato la moderatrice della tavola rotonda, la giornalista Roberta Carlini, “il tema economicistico viene spesso messo in contrasto con quello della ‘giustizia’, si dice che non sia importante difendere una causa mettendo in evidenza il suo aspetto antieconomico, poiché va difesa perché è giusta in sé. Eppure io penso – ha detto Carlini – che invece anche l’aspetto economico sia importante da sottolineare, perché con la forza dei fatti è in grado di smontare un discorso ideologico”.
Il Dossier di Lunaria è stato lodato per la cura con cui i dati sono stati recuperati e riportati, eppure trovarli tutti è stato impossibile. Miraglia ha ricordato un episodio abbastanza comico, che spiega come il muro sia realmente inaccessibile, persino ad altissimi livelli: “Quando ho fatto parte della Commissione De Mistura, che aveva avuto incarico dal governo Prodi di trovare una alternativa ai Centri di identificazione e espulsione, persino l’allora ministro Giuliano Amato ci disse che non era riuscito a sapere quanto spendono le forze dell’ordine ogni anno sui Cie, ed era Ministro dell’Interno”. Insomma, pare proprio che sia impossibile. Ma è stato l’onorevole Giulio Marcon, eletto come indipendente alla Camera nella lista di Sel, a promettere che quanto prima sarà presentata una interrogazione in Parlamento proprio per chiedere conto della mancanza di trasparenza assoluta su alcuni dati che riguardano i costi dell’immigrazione. E’ stato ancora Marcon ad assicurare che Sel cercherà di lavorare di concerto con altri gruppi parlamentari per presentare un progetto di legge che abbia come obiettivo la chiusura dei Cie.
Ma di proposte se ne possono fare anche altre, Loredana De Leo, dell’Asgi, ha ricordato che a proposito di Cie non vanno dimenticati anche alti aspetti, come quelli del ripristino di un controllo giurisdizionale efficace che rimetta al centro il giudice ordinario e non i giudici di pace. Senza contare – come ripetono da anni le associazioni e le realtà che si occupano del tema – che è la stessa direttiva europea sui rimpatri a raccomandare che il trattenimento sia usato come estrema ratio quando si tratta di allontanare una persona.
Di cose da fare, per tagliare subito i costi e dare soprattutto il via a una politica del tutto nuova e probabilmente molto più efficace di controllo dei flussi migratori, ce ne sarebbero. Per applicarne alcune basterebbe rispettare la legge.
Miraglia ha ricordato che la direttiva europea: “Favorisce il rimpatrio assistito: una modalità che, tra l’altro, costa molto meno di un rimpatrio coatto. I costi, come abbiamo detto, del rimpatrio coatto non sono chiarissimi, ma facendo due conti si può dire che quello assistito costa sui 4 mila euro a persona, quello forzato non meno di 9-10 mila”. Ma non solo, bisognerebbe cambiare atteggiamento nei confronti dei paesi di provenienza, molti dei quali nel frattempo sono diventati dei giganti economici, e quindi potrebbero persino essere interessanti per l’Italia, che invece continua a vivere nell’800 e lo si vede dalla rete delle sue ambasciate e consolati che, ha ricordato Soldini, “sono dislocate ancora per l’80% nei paesi occidentali, e solo per il 20% nel resto del mondo, come Africa e Sudamerica: tutto questo crea ritardi e storture nel rilascio dei visti che invece potrebbero essere facilmente corretti”.
E ancora: si favoleggia di un improvviso svuotamento dell’Italia causa crisi. “Ma se se ne fossero andati in così tanti ce ne saremmo accolti, li avremmo visti alle stazioni e agli aeroporti. La verità è che stanno ancora qui, ma che invece sono ricaduti nel nero. La nostra risposta? Una regolarizzazione che va a rilento e ha già respinto un terzo delle richieste per ragioni burocratiche come la mancanza della prova di presenza alla data del 31 dicembre 2011. Ridicolo”. Per il responsabile immigrazione della Cgil sarebbe invece ora di inventare un sistema che permetta una regolarizzazione permanente per chi lavora”.
Ma poi, come si fanno le campagne elettorali?