La disoccupazione, è banale dirlo, non riguarda solo gli italiani, ovviamente, ma tutti i lavoratori, compresi quelli “extracomunitari”, che nella grande maggioranza dei casi vivono ormai da anni in Italia, dove hanno creato una propria famiglia e vita sociale.
L’osservazione non è nuova, ma inediti sono i dati che vi proponiamo. Sono i dati dell’Inps, l’Istituto nazionale di previdenza che mettono a confronto il 2011 e il 2012 sul numero di richieste di disoccupazione sia nel lavoro domestico che negli altri settori.
I primi dati riguardano la disoccupazione non domestica, e sono molto interessanti. Perché gettano uno sguardo sul lavoro “classico”: quello industriale o dei servizi per intendersi. Sono quindi numeri che dimostrano come la crisi economica abbia “bloccato” il lavoro in questo paese. Per quanto riguarda la disoccupazione non agricola e speciale edile, infatti, si è passati da un totale di richieste di 1.230.222, di cui 152.209 di non comunitari, a 1.408.182, di cui 182.438 di non comunitari. Numeri pesanti, anche perché chi può ricorrere alla disoccupazione è già un lavoratore protetto: intanto perché ha, banalmente, un permesso di soggiorno valido. Ma anche un contratto, e dei contributi pagati. La disoccupazione ordinaria, infatti, è rivolta ai lavoratori dipendenti che siano stati licenziati per motivi indipendenti dalla propria volontà. Bisogna inoltre avere almeno 52 contributi settimanali nel biennio precedente (43 nel caso degli edili) e almeno un contributo settimanale antecedente al biennio stesso. Insomma, bisogna essere stati lavoratori “regolari” da due anni e più. Il contributo, inoltre, è di otto mesi per chi ha meno di 50 anni e di dodici mesi per chi supera i cinquanta anni. Insomma, poca roba che, oltretutto, è stata ulteriormente ristretta a partire dal 2013, con l’introduzione della riforma Fornero.
La riforma introduce il cosiddetto Aspi, l’Assicurazione sociale di impiego, che allunga il periodo di copertura a 12 mesi per i lavoratori fino a 55 anni e 18 mesi per quelli con età superiore. I requisiti rimangono gli stessi.
I dati dell’Inps mostrano anche come crescono le domande di disoccupazione per chi risponde ai “criteri ridotti” (cioè persone che abbiano lavorato almeno 78 giorni, ovviamente sempre in modo regolare, durante l’anno precedente). Anche in questo caso – e stiamo parlando di situazioni già a alto rischio povertà – sono passati da 635 a 724 mila, di questi i cittadini non comunitari sono stati 55.043 nel 2011 e 75.183 nel 2012. Anche qui l’aumento è di 20 mila persone, cioè quasi un terzo in più rispetto all’anno precedente.
E veniamo alla mobilità, che è l’ammortizzatore sociale previsto per i lavoratori di imprese con più di 15 dipendenti che abbiano, o usufruito della cassa integrazione e poi sono stati licenziati, oppure che abbiano ricorso ai licenziamenti collettivi. Si tratta di una categoria di lavoratori che, in qualche modo, fa riferimento a un contesto di lavoro ancora più strutturato rispetto ai precedenti. Insomma, un altro indicatore della crisi generale. Su un totale di 123.829 persone poste in mobilità nel 2011, 8.411 sono stati lavoratori non comunitari. Il dato schizza in alto nel 2012: sono 149.319 in totale, di cui 11.131 gli stranieri.
E arriviamo a un altro dato interessante, che permette di dare uno sguardo e fare qualche ipotesi sulla strutturazione del welfare in Italia. I dati dell’Inps riguardano le ore lavorate. Un lavoratore domestico può accedere alla disoccupazione, di cui sopra, se viene licenziato per motivi indipendenti dalla sua volontà. I dati mostrano come il ricorso all’aiuto in casa sia un dato in crescita, anche se non in modo esplosivo: se nel 2011 le ore lavorate sono state 861.514.013, nel 2012 sono state 904.848.685. Circa 77 mila ore in più. Il ricorso all’aiuto domestico è in costante aumento prima di tutto per l’invecchiamento della popolazione. Se è vero che un generale clima di crisi economica ricade prima di tutto sulle spalle delle donne, chiamate maggiormente a farsi carico dei lavori domestici, è altrettanto vero che la restrizione dei salari dei nuclei familiari può comportare, in alcuni casi, la necessità, per una donna che non lavora, di integrare il salario del marito. Queste, tuttavia, sono solo ipotesi.
Quel che è interessante è osservare come, a fronte di un leggero aumento delle ore lavorate (e soprattutto dichiarate all’Inps), diminuiscono stranamente i numeri riguardanti i lavoratori non comunitari. Se nel 2011 le ore lavorate erano 486.540.848, nel 2012 calano: sono 460.569.392.
Un dato strano, perché come è noto il lavoro domestico in Italia vede il massiccio impiego di donne e uomini di origine straniera, che lavorano nelle nostre case come collaboratrici familiari, baby sitter, assistenti agli anziani. Un ritorno al lavoro domestico da parte degli italiani?
Se pure questo fenomeno è stato notato, va detto che nella stragrande maggioranza dei casi le ore lavorate denunciate all’Inps, sono quelle dei lavoratori non comunitari – che come si vede nel 2011 rappresentavano più della metà del totale – per i quali il pagamento dei contributi è indispensabile per il rinnovo del permesso di soggiorno.
E allora? E’ probabile che quel dato in diminuzione evidenzi un ritorno al sommerso nel lavoro domestico. E che una parte delle persone che è stata licenziata (per finta) dal proprio datore di lavoro abbia poi fatto richiesta di disoccupazione, in modo da integrare il reddito, che forse è stato anche ridotto dalla crisi (meno ore lavorate per la stessa famiglia).
D’altronde fa riflettere anche un altro dato, questa volta pubblicato sul sito dell’Inps (http://www.inps.it/webidentity/banchedatistatistiche/domestici/index01.jsp?CMDNAME=SRT21). Il numero di lavoratori domestici in Italia ha conosciuto un vero e proprio boom – molto sospetto – proprio in coincidenza con la crisi. Se nel 2008 i lavoratori domestici erano 679.211 – in costante aumento dal 2002, quando erano solo 553.234, un aumento legato anche all’emersione dovuta alle leggi sull’immigrazione – ecco che nel 2009 diventano improvvisamente ben 963.336. E’ l’anno della sanatoria per colf e assistenti familiari voluta dalla legge Berlusconi, ma un tale aumento sembra essere legato anche ai primi segni di crisi economica, e – forse – a un “travaso” di lavoratori verso il settore domestico, che è quello con i contributi più bassi.