Il governo ha rinnovato il patto con la Libia con una imperturbabilità che offende il buon senso e i valori consacrati dalla Costituzione e dalle Convezioni internazionali sui diritti umani. Un articolo di Luigi Manconi su repubblica.it.
Il più recente grido di allarme è quello lanciato dal Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatovic, giusto tre giorni fa: “L’Italia deve sospendere la cooperazione con la guardia costiera libica almeno fino a quando quest’ultima non possa assicurare il rispetto dei diritti umani”. Non so dire, di conseguenza, se suoni più beffarda o più sinistra la coincidenza di questo così drammatico monito con il rinnovo automatico del Memorandum tra Italia e Libia, scattato esattamente ieri a tre anni dalla sua stipula.
Entro il 2 novembre scorso il governo italiano avrebbe dovuto decidere se rinnovare l’intesa, come previsto dall’articolo 8 dello stesso testo. E, così ha scelto di fare,senza una significativa discussione pubblica e una ratifica parlamentare. Certo, in base all’articolo 7 del Memorandum l’Italia si riserva di apportare alcune modifiche durante il periodo di validità: e, tuttavia, le premesse sono decisamente negative.
Proprio a partire da un bilancio nudo e crudo degli effetti che l’accordo Italia- Libia ha prodotto finora. Da quel Febbraio del 2017 a oggi, secondo i dati dell’ISPI circa 40.000 persone sono state intercettate in mare e riportate indietro dalla guardia costiera libica, finanziata dall’Italia e addestrata dai nostri corpi militari.
Sappiamo inoltre che in questi tre anni una nave della marina italiana, ormeggiata nel porto di Tripoli, ha svolto in pratica funzioni di coordinamento per gli interventi nelle acque territoriali di competenza libica. Ciò a causa dell’evidente incapacità del governo nazionale di Serraj di assicurare in proprio alcun tipo di controllo e monitoraggio e, tantomeno, di intervento di soccorso in caso di imbarcazioni in pericolo. Altro dato: in quel tratto di Mediterraneo, secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, UNHCR, vengono stimate in circa 5.000 le vittime in quello stesso periodo. Ma questo bilancio non si ferma alla dolente contabilità dei morti in mare. Ormai centinaia sono le testimonianze, le immagini e le parole riportate da inchieste giornalistiche, da rapporti di organizzazioni come lo stesso UNHCR e l’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni (OIM) e di altri organismi indipendenti. Documenti che raccontano l’orrore dei campi di detenzione, istituzionali e non, dove vengono rinchiusi i migranti intercettati nel Mediterraneo. Uomini, donne e bambini sottoposti a violenze sistematiche, all’interno di strutture gestite da corpi militari e milizie, in combutta con le gang che organizzano la tratta di esseri umani. Grazie a un intelligente giornalista di Avvenire, Nello Scavo, abbiamo appreso che Bija, un importante organizzatore di quel traffico, è stato “ospite” del governo italiano per un periodo di formazione nel nostro paese al fine di apprendere la capacità di gestire i centri di detenzione “nel rispetto dei diritti umani”.
In questi anni, abbiamo ascoltato i successivi governi italiani , promettere “il massimo impegno” per migliorare le condizioni di vita in quei campi e per garantire la tutela dei diritti fondamentali dei reclusi attraverso la collaborazione con le organizzazioni umanitarie internazionali presenti in Libia. Si è omesso di ricordare, tuttavia, le enormi difficoltà denunciate da Unhcr e Oim a proposito dell’agibilità di quel contesto, ormai completamente fuori controllo e teatro di una guerra civile che non sembra destinata a concludersi. Al contrario. Oggi sono rarissimi i luoghi accessibili al personale umanitario, minima la possibilità di intervento, poche migliaia le persone bisognose di protezione trasferite in paesi sicuri: fino alla decisione dell’Unhcr di sospendere le attività del centro di transito di Tripoli , annunciata pochi giorni fa. È questo il quadro in cui il nostro governo, con una imperturbabilità che offende il buon senso e i valori consacrati dalla Carta Costituzionale e dalle Convenzioni Internazionali, asseconda l’automatismo di un rinnovo del Memorandum Italia- Libia, che non sembra nemmeno in grado di ottenere il minimo effetto pratico: quello della riduzione delle partenze e degli sbarchi nel nostro paese. E che sembra realizzato, all’opposto, per affidare ai diversi attori che pretendono di rappresentare la Libia, un formidabile strumento di pressione e, diciamolo, di ricatto nei confronti dell’Italia e dell’Europa. C’è da chiedersi: dov’è quella “discontinuità” che avrebbe dovuto segnare la vita del nuovo governo?