“Continuano ad essere disastrose le condizioni abitative, igienico-sanitarie e lavorative di alcune migliaia di migranti che ogni anno giungono nella Piana di Gioia Tauro per la stagione della raccolta degli agrumi”. A lanciare l’allarme è Medu -Medici per i diritti umani– che in un mese ha assistito, attraverso la clinica mobile, oltre 150 lavoratori, per lo più provenienti dall’Africa sub-sahariana. Tutti vivono nelle baraccopoli e nei casolari abbandonati dei comuni di Rosarno, San Ferdinando, Rizziconi e Taurianova.
Non è una novità il fatto che in questa zona vi sia una forte presenza di lavoratori migranti, per lo più di origine africana, ridotti in condizione di sfruttamento dal sistema del caporalato. Lo stato delle cose è venuto alla luce in modo lampante nel 2010, con quella che viene ricordata come ‘la rivolta di Rosarno’. Una rivolta scoppiata dopo il ferimento di alcuni migranti colpiti dai proiettili sparati da un’auto in corsa, e fomentata da una condizione di sfruttamento al limite dello schiavismo e di totale mancanza di qualsiasi tutela.
Di fronte alla gravità della situazione in cui versano i braccianti della Piana, l’intervento istituzionale si è limitato alla costruzione di una tendopoli: una soluzione tampone, emergenziale e non sufficiente. Pur nella sua precarietà, però, poteva rappresentare un aiuto concreto per i braccianti, in attesa di un intervento istituzionale più strutturato volto ad affrontare davvero la situazione. “Rosarno non deve restare sola e non sarà sola”, dichiarava l’allora ministro per l’integrazione Riccardi. E invece, “quest’anno le comunità e i territori della Piana di Gioia Tauro sembrano essere ancora più soli che in passato. Ciò che prevale è la percezione dell’abbandono e del disimpegno di fronte ai gravi problemi del territorio da parte della Regione Calabria e del Governo”, denuncia Medu.
A una situazione di forte sovraffollamento (le tende possono ospitare fino a 450 persone mentre attualmente il campo contiene circa il doppio dei migranti) si accompagna la creazione di rifugi improvvisati fatti di legno e teloni di plastica, o ricavati dalla baracche abbandonate. “Lo scorso novembre, un giovane migrante che non aveva trovato posto all’interno del campo, è morto di freddo all’interno di un’autovettura”.
Mancano completamente i servizi essenziali: “la fornitura elettrica è mancata del tutto da maggio a gennaio, quando è stata ripristinata esclusivamente l’illuminazione prodotta dai lampioni esterni al campo”.
Non esiste alcun tipo di impianto di riscaldamento: la possibilità di cucinare e di riscaldare l’acqua è data solo dai fuochi accesi tra le baracche.
Il fondo istituto dal Ministero dell’Interno – 40.000 euro – non ha dato vita ad alcun intervento strutturato, ma solo a un’iniziale disinfestazione e al parziale ripristino della fornitura elettrica, appunto solo dei lampioni esterni.
I trasporti pubblici sono inesistenti.
Non sono le istituzioni ad assistere questi lavoratori, “sulle cui spalle si regge letteralmente gran parte del comparto agricolo della Piana”: sono le associazioni a sostituirsi allo Stato.
Dal mese di febbraio sono stati 150 i lavoratori migranti assistiti da un team di Medu presso la tendopoli di San Ferdinando e in differenti insediamenti isolati e casolari della Piana. “Si tratta per lo più di giovani uomini – l’80% ha un’età inferiore ai 35 anni -. In oltre il 70% dei casi i pazienti possedevano un regolare permesso di soggiorno e quasi la metà (45%) era titolare di un permesso per protezione internazionale o per motivi umanitari. Il 95% di essi è in Italia da oltre due anni e il 68% ha una conoscenza sufficiente o buona della lingua italiana. L’89% lavora in nero e il 64% percepisce in media 25 euro per un giorno di lavoro o anche meno. La maggior parte delle malattie diagnosticate, in una popolazione giovane e sostanzialmente sana, è legata alle pessime condizioni abitative ed igienico-sanitarie e alle durissime condizioni di lavoro”.
Medu punta il dito contro le “istituzioni regionali e nazionali” e la loro “sconcertante noncuranza verso le condizioni di vita e di lavoro dei braccianti immigrati”. Le uniche risposte concrete arrivano dalla società civile della Piana con progetti e iniziative “che dimostrano come sia possibile sviluppare validi percorsi di accoglienza e integrazione anche con risorse limitate”. Ad esempio, nel borgo di Drosi un gruppo di cittadini associati alla Caritas locale ha avviato un progetto che permette di accogliere ogni stagione circa cento lavoratori immigrati in abitazioni sfitte del paese tramite il pagamento di un canone minimo.
Va sottolineato inoltre che la situazione della Piana non è affatto emergenziale, legata a una situazione contingente e poco prevedibile: è la stessa da anni e, come specifica Medu, “in occasione della stagione agrumicola da novembre a marzo, giungono ogni anno oltre 2.000 braccianti, per la maggior parte dell’Africa sub-sahariana”. A fronte di questo, “nessun piano di accoglienza è previsto per la prossima stagione”.
Nella Piana di Gioia Tauro manca del tutto “prima ancora che una puntuale pianificazione dell’accoglienza stagionale per i lavoratori immigrati impiegati in agricoltura, una visibile volontà politica nell’affrontare quella che è una delle questioni dell’immigrazione più drammatiche, e anche più vergognose, per il nostro Paese. Una questione che esige delle risposte concrete e coerenti da parte delle istituzioni ed in particolare, in un territorio con problemi sociali, economici e di legalità così profondi, dal Governo e dalla Regione Calabria”.
Medu rivolge un particolare appello al nuovo Governo e al Presidente del Consiglio Renzi “affinché mettano in campo risorse e volontà politica per aggredire lo sfruttamento dei lavoratori migranti in agricoltura, partendo anche dalla Piana di Gioia Tauro e dalla questione dell’accoglienza”.
La questione in campo nella Piana di Gioia Tauro è “un problema di civiltà che non riguarda solo migliaia di lavoratori immigrati ma tutti i cittadini italiani”.
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