“L’ennesima tragedia nel Mediterraneo evidenzia la grave carenza di un adeguato sistema di ricerca e soccorso in mare”: ad affermarlo è Medici Senza Frontiere (MSF), dopo aver partecipato alle operazioni di soccorso dell’imbarcazione naufragata a circa 30 km dalla costa libica. Al momento si parla di venticinque morti e quattrocento persone salvate. Ma il bilancio potrebbe essere ancora più terribile, se possibile: secondo quanto dichiarato dai sopravvissuti sarebbero state più di seicento le persone a bordo del motopeschereccio in ferro partito due notti fa dal porto libico di Zuwara. Cento viaggiavano nella stiva, come riportato anche da Federico Fossi dell’Unhcr. Potrebbero esserci dunque più di duecento dispersi, come dichiara anche il comandante della nave della Marina Militare irlandese giunta per prima sul posto, la Le Niamh. E’ stato proprio l’equipaggio irlandese ad assistere alla strage, provocata, a quanto sembra, dai movimenti effettuati dalle persone a bordo del peschereccio alla vista dei soccorsi.
Questa la dinamica: ieri mattina un passeggero del peschereccio avrebbe lanciato l’allarme alla Guardia Costiera di Catania, usando un telefono satellitare. La Guardia Costiera di Roma, che coordina le operazioni di salvataggio, allertata da Catania avrebbe dirottato immediatamente sul posto due navi: Le Niamh della Marina Militare irlandese, che in queste settimane sta operando nell’ambito di una missione umanitaria denominata Pontus (al di fuori del dispositivo Frontex/Triton), e Dignity 1, gestita da Medici Senza Frontiere (qui info sulle operazioni di soccorso di MsF). Proprio l’arrivo dei soccorsi avrebbe portato le molte persone presenti a muoversi: l’imbarcazione si sarebbe reclinata, per poi rovesciarsi, a 30 km dalla costa libica. Solo dopo l’arrivo delle prime due navi sono arrivate il Phoenix – una nave di soccorso del Migrant Offshore Aid Station – la Fiorillo della Guardia Costiera italiana e il mercantile Bamon Argos, più due unità della marina militare italiana di cui al momento non si conoscono i dettagli. “Il fatto che siamo stati chiamati prima per assistere questa barca e subito dopo per un altro salvataggio dimostra la grave carenza di risorse disponibili per operazioni di soccorso nel Mediterraneo”, denuncia Msf (qui la nota di Msf ), sollevando ancora una volta una questione più volte sollecitata da associazioni e ong: l’applicazione di misure per l’ingresso legale e l’attivazione reale di operazioni di SaR, Search and Rescue (ricerca e soccorso): “È un imperativo che le operazioni di soccorso si avvicinino il più possibile alle zone di partenza: solo due giorni fa 5 persone sono morte per disidratazione dopo 13 ore su un barcone e oggi questa tragedia ad appena 15 miglia dalla Libia. L’unica soluzione per porre fine a lutti e sofferenze in mare è aprire vie legali e sicure per consentire a queste persone, costrette a fuggire da guerre e povertà, di trovare sicurezza senza rischiare la vita. Stiamo scavando una fossa comune nel Mediterraneo”.
“Altre centinaia di morti nel Mediterraneo. L’Europa, sempre pronta a ricordare i genocidi del passato e sempre pronta a criticare i genocidi di cui altri oggi si macchiano, la smetta di essere complice di ciò che sta accadendo nel Mediterraneo, perché domani la storia la definirà colpevole di questo genocidio”: questo il commento del sindaco di Palermo Leoluca Orlando. Proprio a Palermo è diretta la nave irlandese con le persone tratte in salvo.
Msf parla di fossa comune nel Mediterraneo, il sindaco di Palermo di genocidio. Se qualcuno avesse ancora dei dubbi a riguardo, ci sono i dati recentemente diffusi dall’OIM a mostrarci la realtà cui ormai ogni giorno l’Europa assiste inerme: sono oltre duemila le persone morte quest’anno nel Mar Mediterraneo mentre cercavano di raggiungere le coste europee. A questo terribile dato si vanno già ad aggiungere i morti di questa ennesima strage, in una conta macabra, terrificante e ad oggi incredibilmente e drammaticamente senza fine. L’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni ha sottolineato che la maggior parte dei decessi è avvenuta, come nel 2014, nel canale di Sicilia, nel tratto che collega la Libia all’Italia, dove “il ricorso a imbarcazioni di fortuna da parte dei trafficanti di esseri umani fa aumentare le probabilità di tragedie”. La rotta del Mediterraneo centrale sarebbe la più pericolosa secondo le statistiche diffuse dall’Oim, che confermano quanto già sottolineato tempo fa dall’Unhcr: quest’anno l’Italia e la Grecia hanno registrato un flusso simile di migranti (rispettivamente 97.000 e 90.500), ma 1.930 persone sono morte mentre cercavano di raggiungere l’Italia contro le 60 decedute in rotta verso la Grecia. “E’ inaccettabile che nel XXI secolo la gente che fugge dai conflitti, dalle persecuzioni, dalla miseria e dal degrado della terra debba sopportare queste terribili esperienze nei loro paesi, per non dire quello che sopportano durante il viaggio e poi morire alle porte dell’Europa”, ha commentato il direttore generale dell’Oim, William Lacy Swing.