Medici Senza Frontiere non firma il Codice di Condotta predisposto dalle autorità italiane per le ong impegnate nelle operazioni di ricerca e soccorso in mare. Lo fa “consapevole del rilievo e delle possibili conseguenze di questa decisione”: ma le motivazioni sono chiare e ben esplicitate nella nota pubblica rivolta al ministro dell’Interno Marco Minniti.
“Riteniamo che allo stato attuale non sussistano le condizioni perché MSF possa sottoscrivere il Codice di Condotta”. Lo stato attuale al quale si riferisce la ong è composto da “linee di riferimento” che destano in Msf preoccupazioni già segnalate il 27 luglio, ma che sono state lasciate senza risposta. In particolare, “il Codice di Condotta non riafferma con sufficiente chiarezza la priorità del salvataggio in mare, non riconosce il ruolo di supplenza svolto dalle organizzazioni umanitarie e soprattutto non si propone di introdurre misure specifiche orientate in primo luogo a rafforzare il sistema di ricerca e soccorso”. C’è poi un altro punto particolarmente controverso: la presenza a bordo di funzionari di polizia armati. Evidenziando la propria politica “no- weapons”, Msf evidenzia che nella nuova versione del Codice “questa nozione resta soggetta a interpretazione e la richiesta che la polizia non sia armata non è stata adottata”. Inoltre, viene chiesto alle équipe impegnate nelle operazioni Search And Rescue di contribuire attivamente alla raccolta di elementi utili ad attività di polizia e investigative: una sollecitazione che va a costituire “una distorsione sostanziale della nostra missione”, chiarisce Msf. Distorsione che si fa se possibile ancora più evidente se si considera che “il Codice non fa alcun riferimento ai principi umanitari”.
La mancata firma del Codice non si tradurrà in un’interruzione delle operazioni in mare: “MSF continuerà a condurre le operazioni di ricerca e soccorso sotto il coordinamento della guardia costiera italiana (MRCC) e in conformità con tutte le leggi internazionali e marittime pertinenti”, ha dichiarato Gabriele Eminente, Direttore Generale di MSF.
Il proseguimento di tali attività va di pari passo con il mancato impegno degli stati in tal senso. “Le attività di soccorso da parte di attori non governativi come MSF sono solo una misura temporanea finalizzata a riempire il vuoto di responsabilità lasciato dagli Stati”.
Nei primi 6 mesi del 2017, le ONG hanno effettuato il 35% del totale delle operazioni di soccorso nel Mediterraneo centrale. Solo Msf ha portato in sicurezza più di 16.000 persone, rispettando tutte le leggi internazionali, nazionali e marittime applicabili nel Mar Mediterraneo, così come il proprio codice di condotta, la Carta dei Principi di MSF, che si basa sull’etica medica e i principi umanitari.
Nello spiegare le ragioni della mancata firma, Msf ha espresso piena disponibilità a discutere e a proseguire la collaborazione con il Viminale per contribuire a migliorare il coordinamento e l’efficacia delle operazioni di ricerca e soccorso. Ma il ministero dell’Interno dal canto suo ha posto un out out: “L’aver rifiutato l’accettazione e la firma pone quelle ong fuori dal sistema organizzato per il salvataggio in mare, con tutte le conseguenze del caso”.
La scelta di Msf è coraggiosa, ed è stata condivisa anche da altre ong impegnate nelle operazioni di ricerca e soccorso: la ong francese Sos Mediterranèe, assente ieri all’incontro al Viminale, non ha firmato a causa della mancata presa in considerazione di tre emendamenti proposti, relativi alle norme per l’idoneità tecnica dei pescherecci di salvataggio, i trasbordi e le condizioni per consentire ai funzionari di polizia giudiziaria di accedere ai mezzi di soccorso umanitari (qui un approfondimento al riguardo). Anche la tedesca Jugend Rettet Iuventa ha deciso di non firmare perché il codice non consente di essere più efficienti nel salvare vite (qui la nota We don’t need more rules we need more rescue vessels).