L’Unar (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali) e l’Associazione Carta di Roma chiedono, con un appello diffuso l’11 ottobre e rivolto alle redazioni di tutti gli organi di informazione, di non dare visibilità a titoli disumanizzanti e di escludere dalle rassegne stampa le prime pagine che li contengono, che nulla hanno a che fare “con l’informazione e con la ricerca della verità sostanziale dei fatti, prima regola del buon giornalismo”. Un appello alla responsabilità e al rispetto della deontologia professionale a firma del presidente di Carta di Roma, Valerio Cataldi e di Triantafillos Loukarelis, il direttore dell’Unar.
L’iniziativa è partita dopo l’uscita della prima pagina, nell’edizione dell’11 ottobre, del quotidiano Libero con il seguente titolo: “Accogliamo i clandestini, uccidiamo i cinghiali”. “Un titolo che viola le più elementari regole del giornalismo, dell’etica professionale, delle carte deontologiche”, si legge nell’appello. “Un titolo orribile, un caso gravissimo di disumanizzazione. Un titolo che ricorda la propaganda nazista degli anni 40 che paragonava gli ebrei ai ratti portatori di malattie che invadono il continente e divorano le sue risorse”.
Il quotidiano diretto da Senaldi, ancora una volta (e non è la prima volta, ndr), non usa mezzi giri di parole. “Non c’è nessuna possibilità di fraintendimento- prosegue l’appello-: mette sullo stesso piano esseri umani e cinghiali” e costringe il lettore ad operare una scelta netta fra gli uni e gli altri. Come se fosse una cosa realisticamente possibile. “E nulla cambia se il contenuto dell’articolo non fa alcun accenno al parallelo. Anzi, rende tutto più grave e grottesco quando racconta che ‘la sicurezza nelle aree rurali ed urbane è in pericolo per il loro proliferare con l’invasione di campi coltivati e centri abitati dove spesso razzolano tra i rifiuti con evidenti rischi di carattere sanitario per la diffusione di malattie come la peste suina’”.
Si tratta di un appello importante perché richiama l’attenzione su diversi livelli della comunicazione mass-mediatica. E pur nella sua brevità, rappresenta una importante reazione dopo tanto giornalismo “spazzatura”. L’appello, innanzitutto, evidenzia l’importanza e il peso delle parole: i termini utilizzati (“clandestini” e “cinghiali”) sono ancora una volta pietre. Eppure, pochi mesi fa, nel febbraio 2020, i giudici della Corte d’appello di Milano avevano fatto rilevare che l’utilizzo del termine “clandestino” «è discriminatorio nel caso in cui ci si riferisca a delle persone che hanno fatto richiesta di protezione umanitaria», riferendosi ad un titolo del quotidiano la Repubblica del 3 settembre del 2018, nel quale si metteva il termine “clandestino” in prima pagina («In tre mesi oltre 12 mila clandestini in più», qui il comunicato di Carta di Roma). In secondo luogo, l’appello ci porta a riflettere anche sulla possibile risonanza mediatica che può avere una operazione del genere (sbattuta a caratteri cubitali in prima pagina) e sulle possibili ripercussioni sulla platea di lettori.
Infine, ma non meno rilevante, l’analisi dell’accostamento fra migranti e mondo animale. Non è certo una novità. Il processo di “bestializzazione” del migrante è cosa assai consueta per un certo tipo di stampa e per un certo tipo di comunicazione. D’altro canto, di recente, nei mesi estivi, proprio Libero, insieme a il Giornale avevano lanciato una lunga serie di titoli disumanizzanti, che vedeva i migranti ospiti a Lampedusa marchiati come “mangiatori di cani” (si veda a titolo di esempio “Lo sfogo choc sui migranti: “Hanno mangiato i miei cani””, su il Giornale, oppure “I migranti mangiano cani a Lampedusa” del 7 luglio, con cui Libero lancia una delle sue più grandi fake news degli ultimi tempi). O ancora, andando soltanto poco più indietro nel tempo, ad inizio 2020, non possiamo non citare l’ampia diffusione mediatica che ha avuto la dichiarazione del Presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, quando, a proposito dei cittadini cinesi, li tacciava di “mangiare topi” (noi ne abbiamo parlato, ad esempio, qui). Ma ne parlavamo anche nel 2018, a proposito di un cittadino marocchino, protagonista di un fatto increscioso di violenza nei confronti della sua ex compagna, che veniva definito in numerosi titoli “bestia”, ed in questa stessa occasione riportavamo molti altri esempi prodotti dallo stesso Libero. “C’è un limite oltre il quale non è consentito andare. Questo limite oggi è stato superato”, concludono Valerio Cataldi e di Triantafillos Loukarelis nell’appello. E noi non possiamo che condividere.