Alla vigilia delle elezioni, il segretario leghista Roberto Maroni torna sulla questione della cittadinanza per i figli di cittadini stranieri. “Non vedo il motivo per cambiare la norma”, afferma Maroni a Raidue, riferendosi al principio dello ius sanguinis, per cui è italiano chi nasce da genitori italiani.
“L’immigrato in regola in Italia – dichiara Maroni – ha tutti i diritti degli altri cittadini eccetto il diritto del voto”. Un diritto non irrilevante, considerando il fatto che in una democrazia rappresentativa il voto risulta fondamentale per la partecipazione alla vita sociale e politica del Paese in cui si lavora, si pagano le tasse, si vive. “Dopo 10 anni l’immigrato può chiedere la cittadinanza. L’esame burocratico della domanda, grazie al mio lavoro da ministro, dura solo un anno”, prosegue Maroni, il quale sottolinea che, con un cambiamento della norma, “il figlio dell’immigrato irregolare diventa italiano”.
Quindi, se un bambino nasce da un genitore privo di regolari documenti, deve anch’egli restare nell’illegalità? Un bambino che magari non ha mai visto lo Stato di origine dei propri genitori deve comunque continuare a essere considerato dalla Stato e dalle leggi uno “straniero”? Del resto, secondo il segretario della Lega Nord la riforma della legge sulla cittadinanza avrebbe come unico motivo “quello di ampliare il bacino di voto per la sinistra”. Maroni sembra dunque ignorare le difficoltà e le limitazioni che quotidianamente deve fronteggiare una persona nata in Italia da genitori di origine straniera, così come sembra non dare peso al fatto che, in termini giuridici, la cittadinanza è lo status con il quale uno Stato riconosce la pienezza dei diritti civili e politici. Non essere cittadino significa non avere pieni diritti, con tutte le barriere e le limitazioni che ne conseguono, ben spiegate dalla campagna l’Italia sono anch’io.
Una questione che è molto lontana dall’essere un semplice calcolo di voti, come invece sembra considerarla il segretario della Lega.