Eliminato il termine “nomadi” dagli atti dell’amministrazione comunale di Roma, verrà sostituito da “rom, sinti e camminanti”: lo stabilisce una circolare firmata l’8 aprile dal sindaco Ignazio Marino, in concomitanza della Giornata internazionale dei rom e sinti. Proprio in prospettiva di questa ricorrenza l’Associazione 21Luglio aveva incontrato il sindaco, il 22 marzo scorso, avanzando alcune richieste alla Giunta capitolina. Tra queste, esattamente l’abolizione del termine “nomadi” dai documenti amministrativi della giunta. “I rom non sono ‘nomadi’ e continuare a definirli come tali, specie negli atti pubblici, giustifica, a Roma e in Italia, la politica segregativa e ghettizzante dei ‘campi’, basata appunto sul presupposto infondato che tali comunità siano ‘nomadi’”, dichiarava allora l’Associazione 21 luglio.
Una posizione abbracciata anche dal sindaco: “Credo che uno dei fattori centrali per superare le discriminazioni sia quello culturale, affinché l‘approccio metodologico di tipo emergenziale possa essere abbandonato a favore di politiche capaci di perseguire l’obiettivo dell’integrazione”, ha affermato il primo cittadino di Roma. In quest’ottica, “anche la proprietà terminologica utilizzata può essere indice e strumento culturale per esprimere lo spessore di conoscenza e consapevolezza degli ambiti su cui si è chiamati ad intervenire”. Una conoscenza piuttosto scarsa rispetto alle comunità Rom e Sinte, come rilevato dallo stesso Marino, che ha sottolineato “come, nel linguaggio comune, le comunità Rom, Sinti e Camminanti vengano impropriamente indicate con il termine di ‘nomadi’”.
Un primo passo, che certamente dovrà essere accompagnato da altri atti concreti, come ad esempio la chiusura e il superamento dei cosiddetti “campi rom”: una misura richiesta da tempo da molte associazioni (tra cui Lunaria, Berenice, Compare e OsservAzione nelle conclusioni del dossier Segregare costa), e sollecitata in una lettera aperta indirizzata a Marino da undici associazioni, tra cui 21 Luglio e Amnesty International Italia.
La notizia ha scatenato alcune critiche, soprattutto sui quotidiani locali. Sul blog Dubitando presente su RomaToday, Luigi De Gregorio parla di “dittatura del politicamente corretto”, sottolineando che “nomadi non è mai stata una formula dispregiativa o discriminatoria, come è confermato da un’intervista al presidente dell’Opera Nomadi su Il Tempo”.
Pensiamo che, in ogni situazione, sia giusto interpellare i diretti interessati per capire la loro posizione. Tanto più che, per la precisione, il presidente dell’Opera Nomadi, che nell’intervista specifica che è il termine “zingari” a essere dispregiativo, nella sezione Rom e Sinti del sito di Roma Multiculturale usa proprio questo termine da lui stesso indicato come stigmatizzante.
Ad ogni modo, a ben vedere l’ordinanza non è stata emanata per eliminare un termine considerato dispregiativo: Marino, sollecitato dalla 21 Luglio, parla della necessità di cambiare l’approccio metodologico usato nei confronti delle popolazioni rom, e per farlo crede utile fare leva anche su un fattore terminologico. In altri termini: non si dice che il termine “nomade” è di per sè dispregiativo, piuttosto che l’uso di questo termine veicoli dei concetti lontani dalla realtà e che possono legittimare comportamenti discriminatori e ghettizzanti.
Secondo De Gregorio, l’ordinanza di Marino sarebbe semplicemente un atto simbolico, trionfo del politicamente corretto. In realtà è lo stesso sindaco a sottolineare che si tratta di “un atto simbolico per il superamento di ogni forma di discriminazione”.
Non è nostro interesse difendere o meno l’operato del primo cittadino di Roma. Ma fare un’informazione corretta, quello si.
Non crediamo si tratti semplicemente di politically correct, ma di usare le parole in maniera corretta. Nomade significa che si sposta, non stabile. A Roma, ci sono persone rom nate in Italia, da genitori nati in Italia. Definirli “nomadi” li rende in qualche modo non-cittadini, soggetti fuori dalle regole canoniche rivolte ai residenti, e anche per questo destinatari di politiche, abitative ma non solo, diverse rispetto a quelle previste per gli altri cittadini.
Infine, con un esercizio stilistico un po’ forzato, forse volutamente in chiave provocatoria, il blogger suggerisce a Marino di adottare il termine “Roma”, indicato nel glossario pubblicato nel 2012 dal Consiglio d’Europa contenente i termini da utilizzare quando ci si riferisce ai cittadini rom. “Se la sente di andare oltre e chiedere ai suoi uffici e conseguentemente ai suoi cittadini di superare la parola nomadi e di sostituirla con la parola ROMA? Pensi che integrazione meravigliosa se ROMA diventa la città dei ROMA”.
Per chiarire: Roma non è solo la parola indicata dal Consiglio d’Europa. Piuttosto, è il termine inglese usato per definire i rom. Il glossario è infatti redatto in lingua inglese. La differenza tra Roma e Rom è quindi solo linguistica, un po’ come quella che potrebbe esserci tra italian e italiano.
“Peccato solo che l’integrazione linguistica non coincida con quella sociale”, conclude il blogger.
Su questo siamo d’accordo, e basta leggere i commenti all’articolo, presenti su Facebook: “Noi i nomadi o meglio gli zingari NON li vogliamo”, “tra poco saremo noi i stranieri in patria”, “bisogna pensare prima agli italiani”, “Invece di curarsi dei problemi di noi romani pensa agli zingari!”, “chiamateli come vi pare sempre zingari restano”, solo per citarne alcuni, tra i quali compare anche l’immagine di Mussolini.
L’impegno del Comune non può fermarsi qui, altrimenti sarebbe davvero solo una misura di facciata. Insieme alle altre associazioni che da anni svolgono questo lavoro manterremo alta l’attenzione sull’operato delle amministrazioni locali e denunceremo le eventuali violazioni e discriminazioni. Intanto ricordiamo che la scelta che potrebbe cambiare davvero la vita quotidiana dei rom nella nostra città è quella di far scomparire i campi dal suo territorio programmando soluzioni abitative alternative.
Quello effettuato ieri è un primo passo simbolico, utile a scardinare false credenze e a incoraggiare una maggior conoscenza delle persone con cui viviamo tutti i giorni. Ma non è sufficiente.