Prima di prendere il mare. Dal reinsediamento alla missione umanitaria. Questo il titolo del convegno promosso dalla Presidenza della Camera Martedì 23 luglio, aperto oltre che ai rappresentanti delle istituzioni e alla stampa, anche alle organizzazioni della società civile.
Il convegno è stato organizzato su sollecitazione del sen. Luigi Manconi, Presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato e dell’associazione A buon diritto, a partire dal “Piano di ammissione umanitaria” presentato subito dopo la strage del 3 ottobre scorso. “Il cuore del piano- come ha spiegato lo stesso Manconi- è anticipare le richieste di protezione internazionale nei paesi di transito” grazie a una Rete diplomatica del servizio europeo di azione estera e con la collaborazione di Acnur e delle organizzazioni umanitarie internazionali. L’apertura di corridoi umanitari e la riforma del Regolamento Dublino III sono le altre proposte avanzate nel piano.
La sollecitazione effettuata con il convegno si colloca esplicitamente nel semestre di Presidenza italiana dell’Unione Europea perchè, ha ricordato il senatore, “la vera questione è la volontà politica“. E si tratta di vedere se il Presidente del Consiglio ne ha, aggiungiamo noi.
Che cosa fare prima che i migranti si avventurino in viaggi che mettono a rischio la loro vita? Cosa fare di Mare nostrum? Quali le politiche alternative che potrebbero essere adottate a livello nazionale ed europeo?
Che “nel Mediterraneo è in corso una guerra tra le persone e il mare” (parole pronunciate in apertura dalla Presidente della Camera) è purtroppo ormai noto a chiunque legga un giornale. Ma è una mezza verità. A questo bisogna aggiungere che nella guerra c’è un terzo attore ed è l’Europa, intesa come Unione Europea ma anche come sommatoria dei suoi stati membri.
Considerazione imbarazzante per un’alta carica dello Stato e dunque omessa ma più o meno implicita nelle sue parole: “il Mediterraneo è una frontiera europea, il salvataggio in mare deve essere una responsabilità condivisa”.
Purtroppo tra le proposte suggerite torna anche quella dell’affidamento all’agenzia europea Frontex della missione di salvataggio e soccorso in mare: “il mandato di Frontex è stato ampliato ma non è sufficiente”. Insomma l’unica strada possibile sembra quella della militarizzazione degli interventi di soccorso in mare.
Ma, ci chiediamo noi, come può un’agenzia istituita per altri fini (il controllo dei mari e delle frontiere esterne ai fini del contrasto dell’immigrazione irregolare) svolgere questo ruolo? Per altro l’Europa (in sede di Consiglio europeo) ha risposto negativamente, nonostante ciò che ha affermato di nuovo ieri il Ministro dell’Interno. Secondo la Commissaria Malstrom Frontex “è troppo piccola per svolgere questo ruolo”.
L’altra proposta chiave su cui si è soffermata la Presidente della Camera è quella delle operazioni di reinsediamento: “le organizzazioni internazionali, insieme all’Easo, potrebbero intervistare i profughi nei paesi di transito e selezionare le persone da trasferire in Europa”.
Perchè ciò sia possibile serve la volontà politica ha ricordato la presidente, considerazione ribadita dal delegato Unhcr per il Sud Europa Lauren Jollens e da Christopher Hein, direttore del Cir.
Se il 2013 è stato un anno straordinario con il più alto numero di migranti forzati dalla seconda guerra mondiale in poi (51,2 milioni nel mondo, 6 milioni in più rispetto al 2012), la maggioranza di queste persone vive nel Sud del mondo (86%), in Occidente arriva solo il 14%. Dunque: il flusso di profughi e richiedenti asilo che arriva in Italia è sicuramente eccezionale, “siamo costretti a un grande sforzo, ma questo sforzo va inquadrato nel contesto internazionale”.
“Le frontiere post seconda guerra mondiale sono saltate o si sono spostate in paesi di cui non sappiamo nulla”: constata infatti il sottosegretario agli affari Esteri Mario Giro. Dunque ciò che serve “sono una nuova politica estera comune a livello europeo e, a livello nazionale, nuovi strumenti di presenza diplomatica anche temporanei.” Non è chiarissimo a cosa si pensi.
Applicazione della direttiva europea sulla protezione temporanea (mai applicata), creazione di presidi internazionali nei paesi di origine e di transito, assunzione da parte dell’Unione Europea della competenza in materia di politiche migratorie (a tutt’oggi competenza riservata agli stati nazionali), apertura di corridoi umanitari (“non è vero che fungerebbero da attrazione, sono le condizioni in cui vivono a spingere le persone a partire”), protezione internazionale estesa ai figli dei rifugiati, ampliamento delle maglie dei ricongiungimenti familiari: queste le ricette proposte da Giro.
Meno, per così dire, nuove le parole del Ministro dell’Interno Alfano. Sebbene affermi che “sarei ipocrita se dicessi che vedere le 365 bare in fila a Lampedusa non mi ha fatto cambiare approccio per ciò che riguarda l’immigrazione”, sembra che il suo approccio sia purtroppo sempre e prevalentemente sicuritario. Il Ministro ha prevalentemente scaricato sul Ministero degli Affari Esteri le responsabilità del “cosa fare prima del mare” individuando nelle frontiere il tema centrale. “Neanche gli storici più esperti possono individuare nella storia una confederazione di stati che abbia eliminato le frontiere interne senza presidiare quelle esterne.” E quindi i circa 1,8 miliardi di euro a ciò destinati dall’Unione Europea tra il 2007 e il 2013, (518 milioni quelli destinati a Frontex tra il 2006 e il 2012) a cosa sarebbero serviti?
C’è qualcuno nelle stanze ministeriali che pensa seriamente che le frontiere europee esterne sono “aperte”?
“C’è il rischio in Europa di una deriva xenofoba“. Come si combatte secondo il Ministro? “Selezionando i richiedenti asilo lì”. Lì dove? Come ha ben spiegato il Delegato dell’Unhcr Lauren Jollens (l’intervento migliore, capace di evidenziare l’impraticabilità attuale di alcune delle proposte avanzate nel convegno), “servono soluzioni commisurabili all’entità del problema da affrontare”.
Per Jollens “procedure di valutazione delle domande di asilo nei paesi di transito non sono possibili in mancanza di condizioni di sicurezza“. L’Unhcr ha dovuto lasciare la Libia, solo per fare un esempio non del tutto secondario.
D’altra parte, “l’accettazione delle domande di asilo nelle ambasciate europee rischia di non risultare gestibile a meno che non siano effettuati investimenti consistenti”. Le persone da reinsediare nel 2013, ricorda Jollens, erano 3 milioni. L’Unhcr ha lanciato un appello ai paesi europei; hanno risposto 22 paesi dando la disponibilità ad accogliere 35mila persone, di cui 25mila sono state accolte dalla Germania.
35mila su 3 milioni.
Il delegato ha concluso ricordando che serve un approccio globale: non è possibile concentrarsi solo su una singola fase (una critica implicita all’impostazione del convegno?). “Qualsiasi soluzione percorsa non può consistere in un tentativo di delegare la gestione del fenomeno ad altri paesi.” Più chiaro e trasparente non avrebbe potuto essere.
Per concludere, il convegno non è stato affatto inutile come spesso capita in iniziative simili. Ci sono proposte, a partire da quella di un’iniziativa italiana per la riforma del regolamento Dublino III, dalla richiesta di applicare la Direttiva Ue sulla protezione temporanea e dalla proposta di modificare (in senso favorevole agli interessati) la legislazione sui ricongiungimenti familiari che sono condivisibili.
Resta almeno a noi la sensazione che ieri nella Sala della Regina non si sia parlato, se non in via incidentale, del sistema di accoglienza che nel frattempo diventa urgente rafforzare. Qui. Ed ora.