Malala Yousafzai è una ragazza pakistana. A 11 anni iniziò a scrivere un blog per la BBC, dove raccontava come la scuola in Mingora affrontava l’editto del 2009 dei Talebani che obbligava la chiusura delle scuole femminili.
Proprio questo suo attivismo contro l’estremismo talebano le è quasi costato la vita: il 9 ottobre 2012, fu ferita gravemente mentre tornava da scuola. Fu subito soccorsa e, dopo le prime cure in Pakistan, fu trasferita all’ospedale di Birmingham, nel Regno Unito, dove fu sottoposta ad un’operazione chirurgica molto difficile. In seguito all’attentato, Malala e suo padre hanno ricevuto delle minacce da parte dei Talebani.
Attualmente vive a Birmingham con la sua famiglia, dove ha potuto riprendere i suoi studi.
Dopo l’attentato, è diventata un’immagine simbolo per tutte le bambine che non possono andare a scuola, e si impegna affinché il diritto all’istruzione sia uguale in tutto il mondo.
Il 10 ottobre 2014 è stata insignita del premio Nobel per la pace diventando, a 17 anni, la più giovane vincitrice di un premio Nobel. La motivazione del Comitato per il Nobel norvegese è stata: “per la sua lotta contro la sopraffazione dei bambini e dei giovani e per il diritto di tutti i bambini all’istruzione”.
Vostre Maestà, illustri membri del comitato per il Nobel, cari fratelli e sorelle, oggi è un giorno di grande gioia per me, sono onorata che il comitato del Nobel mi abbia scelto per questo prezioso premio. Grazie a tutti per il vostro sostegno duraturo e per l’affetto. Sono grata per le lettere che ricevo da tutto il mondo. Leggere le vostre parole cordiali di incoraggiamento mi rafforza e mi ispira.
Vorrei ringraziare i miei genitori per il loro amore incondizionato. Grazie a mio padre per non aver tarpato le mie ali e avermi lasciato volare. Grazie a mia madre per avermi insegnato a essere paziente e a dire sempre la verità – quello che crediamo essere il vero messaggio dell’Islam.
Sono molto orgogliosa di essere la prima pashtun, la prima pachistana e la prima giovane a ricevere questo premio. Sono abbastanza sicura di essere anche la prima vincitrice del Nobel che ancora litiga con suo fratello minore. Vorrei che ci fosse pace ovunque, ma io e i miei fratelli abbiamo ancora del lavoro da fare su quel fronte.
Sono onorata anche di ricevere questo premio con Kailash Satyarti, che è stato un campione dei diritti dei bambini per parecchi anni. A dirla tutta, il doppio degli anni che ho io adesso. Sono grata del fatto che possiamo essere qui insieme e mostrare al mondo che un’indiana e un pachistano possono stare insieme in pace e lavorare insieme per i diritti dei bambini.
Cari fratelli e sorelle, i miei genitori mi hanno dato il nome della “Giovanna d’Arco” pashtun, Malalai di Maiwand. La parola Malala vuol dire “colpita da un lutto”, “triste”, ma per aggiungere allegria al nome i miei genitori mi chiamano sempre “Malala, la ragazza più felice del mondo” e sono molto felice che insieme stiamo sostenendo una causa importante.
Questo premio non è solo per me. È per i bambini dimenticati che vogliono un’istruzione. È per i bambini spaventati che vogliono la pace. È per i bambini senza voce che vogliono il cambiamento. Sono qui per i loro diritti, per dare loro voce… Non è il momento di averne compassione. È il momento di agire, per fare in modo che sia l’ultima volta che a dei bambini è sottratta l’istruzione.
Ho notato che le persone mi descrivono in molti modi. Alcuni mi chiamano la ragazza cui i talebani hanno sparato. Alcuni la ragazza che ha combattuto per i suoi diritti. Altri, ora, mi chiamano la premio Nobel. Per quanto ne so io, sono sono una persona impegnata e testarda che vuole che ciascun bambino abbia un’istruzione di qualità, che vuol pari diritti per le donne, che vuole la pace in ogni angolo del mondo.
L’istruzione è una delle benedizioni della vita – e una delle sue necessità. Me lo dice l’esperienza dei miei 17 anni di vita. A casa mia nella valle di Swat, nel nord del Pakistan, ho sempre amato la scuola e imparare cose nuove. Ricordo quando io e i miei amici ci decoravamo le mani con gli henna (decorazioni floreali, ndr) per le occasioni importanti. Invece di disegnare dei fiori e motivi geometrici, usavamo le formule matematiche e le equazioni.
Avevamo sete di conoscenza perché il nostro futuro era lì, in classe. Ci sedevamo e studiavamo e imparavamo insieme. Adoravamo indossare i nostri grembiuli puliti e stare lì seduti con grandi sogni negli occhi. Volevamo rendere orgogliosi i nostri genitori e dimostrare che potevamo eccellere negli studi e ottenere cose che secondo alcuni solo i ragazzi possono fare.
Le cose sono cambiate. Quando avevo dieci anni Swat, un posto di bellezza e turismo, è diventato improvvisamente un luogo di terrore. Più di 400 scuole sono state distrutte. Alle ragazze è stato impedito di andare a scuola. Le donne sono state picchiate. Innocenti sono stati uccisi. Tutti abbiamo sofferto. I nostri bei sogni sono diventati incubi. L’istruzione da diritto e diventato crimine.
Ma quando il mondo è cambiato, anche le mie priorità sono cambiate. Avevo due opzioni. Stare zitta e aspettare di venire uccisa. O parlare e venire uccisa. Ho deciso di parlare. I terroristi hanno provato a fermarci e il 9 ottobre del 2012 hanno attaccato me e i miei amici. Ma i loro proiettili non potevano vincere. Siamo sopravvissuti. E da quel giorno le nostre voci si sono fatte più forti.
Racconto la mia storia non perché sia unica, ma perché non lo è. È la storia di molte ragazze. Oggi racconto anche le loro storie. Ho portato con me a Oslo alcune delle mie sorelle, che condividono la mia storia: amiche dal Pakistan, la Nigeria e la Siria. Le mie coraggiose sorelle Shazia e Kainat Riaz che quel giorno a Swat sono state colpite dai proiettili con me. Anche loro hanno attraversato un tragico trauma. E la mia sorella Kainat Somro dal Pakistan, che ha sofferto violenze estreme e abusi, fino all’uccisione di suo fratello, ma non ha ceduto.
E ci sono ragazze come me, che ho incontrato durante la campagna per il Fondo Malala, che oggi sono come sorelle per me: la mia coraggiosa sorella sedicenne Mezon, dalla Siria, che oggi vive in Giordania in un campo profughi e va di tenda in tenda per aiutare i bambini a studiare. E la mia sorella Amina, dal nord della Nigeria, dove Boko Haram minaccia e rapisce le ragazze, solo perché chiedono di andare a scuola.
Potrò sembrarvi una sola ragazza, una sola persona, per di più alta neanche un metro e sessanta coi tacchi. Ma non sono una voce solitaria: io sono tante voci. Sono Shazia. Sono Kainat Riaz. Sono Kainat Somro. Sono Mezon. Sono Amina. Sono quei 66 milioni di ragazze che non possono andare a scuola.
La gente spesso mi chiede perché l’istruzione sia così importante per le ragazze. Rispondo sempre la stessa cosa. Dai primi due capitoli del Corano ho imparato la parola Iqra, che vuol dire “leggere”, e la parola nun wal-qalam, che vuol dire “con la penna”. Per questo, come ho detto lo scorso anno alle Nazioni Unite, «un bambino, un maestro, una penna e un libro possono cambiare il mondo».
Oggi in mezzo mondo vediamo rapidi progressi, modernizzazione e sviluppo. Ma ci sono paesi dove milioni di persone soffrono ancora dai vecchi problemi della fame, della povertà, delle ingiustizie, dei conflitti. In questo 2014 ci viene ricordato che è passato un secolo dalla prima guerra mondiale, ma ancora non abbiamo imparato la lezione che ci viene dalla morte di quei milioni di vite cent’anni fa.
Ci sono ancora guerre in cui centinaia di migliaia di innocenti perdono la vita. Molte famiglie sono diventate profughe in Siria, a Gaza, in Iraq. Ci sono ancora ragazze che non sono libere di andare a scuola nel nord della Nigeria. In Pakistan e in Afghanistan vediamo persone innocenti che muoiono in attacchi suicidi ed esplosioni di bombe. Molti bambini in Africa non hanno accesso all’istruzione per la povertà. Molti bambini in India e in Pakistan sono deprivati del loro diritto all’istruzione per tabù sociali, o perché sono stati costretti a lavorare o, le bambine, a sposarsi.
Una delle mie migliori amiche a scuola, della mia stessa età, è sempre stata una ragazza coraggiosa e fiduciosa: voleva diventare medico. Ma il suo sogno è rimasto un sogno. A 12 anni è stata costretta a sposarsi e ha avuto un figlio quando era lei stessa ancora una bambina, a quattordici anni. Sono sicura che sarebbe stata un ottimo medico. Ma non ha potuto diventarlo, perché è una ragazza.
La sua storia è il motivo per cui devolvo i soldi del premio Nobel al Fondo Malala, per aiutare le ragazze di tutto il mondo ad avere un’istruzione di qualità e per fare appello ai leader ad aiutare le ragazze come me, Mezun e Amina. Il primo luogo dove andranno i soldi e il paese dove sta il mio cuore, il Pakistan, per costruire scuole, specialmente a Swat e Shangia.
Nel mio villaggio non c’è ancora una scuola superiore per ragazze. Voglio costruirne una, perché i miei amici possano avere un’istruzione – e con essa l’opportunità di raggiungere i loro sogni. Comincerò da lì, ma non mi fermerò lì. Continuerò questa battaglia finché ogni bambino non avrà una scuola. Mi sento più forte dopo l’attacco che ho subito, perché so che nessuno può fermarmi, fermarci, perché siamo milioni e siamo uniti.
Cari fratelli e sorelle, le grandi persone che hanno realizzato dei cambiamenti – come Martin Luther King e Nelson Mandela, Madre Teresa e Aung San Suu Kyi – un giorno hanno parlato da questo palco. Spero che anche i passi intrapresi da me e da Kailash Satyarti finora, e quelli che ancora intraprenderemo, possano realizzare un cambiamento, e un cambiamento duraturo.
La mia grande speranza è che questa sia l’ultima volta che dobbiamo combattere per l’istruzione dei bambini. Chiediamo a tutti di unirsi e sostenerci nella nostra battaglia, per poter risolvere questa situazione una volta per tutte. Come ho detto, abbiamo già fatto molti passi nella giusta direzione. Ora è il momento di fare un balzo in avanti.
Non serve dire ai leader quant’è importante l’istruzione: lo sanno già, i loro figli sono nelle migliori scuole. È ora di dirgli che devono agire, adesso. Chiediamo ai leader del mondo di unirsi e fare dell’istruzione la loro priorità numero uno.
Quindici anni fa i leader del mondo decisero di fissare dei traguardi globali, i Millennium Development Goals. Nei prima anni successivi abbiamo visto dei progressi. Il numero di bambini esclusi da scuola è stato dimezzato. Ma il mondo si concentrò solo sull’istruzione primaria, e i miglioramenti non toccarono tutti.
L’anno prossimo, nel 2015, rappresentati di tutti i paesi si vedranno alle Nazioni Unite per fissare dei nuovi traguardi, i Sustainable Development Goals. Sarà l’occasione per fissare le ambizioni della prossima generazione. I leader devono cogliere quest’opportunità per garantire un’istruzione primaria e superiore gratuita e di qualità a ciascun bambino. Alcuni dicono che sia poco fattibile, o troppo costoso, o troppo difficile. O persino impossibile. Ma è il momento che il mondo pensi in grande.
Cari fratelli e sorelle, il cosiddetto mondo degli adulti può anche capire queste obiezioni, noi bambini no.
Perché nazioni che chiamiamo grandi sono così potenti nel provocare guerre, ma troppo deboli per la pace? Perché è così facile darci una pistola, ma così difficile darci un libro? Perché è così facile costruire un carrarmato, ma costruire una scuola è così difficile?
Viviamo nel mondo moderno, nel ventunesimo secolo, e crediamo che nulla è impossibile. Possiamo raggiungere la luna, forse a breve atterreremo su Marte. Per questo, in questo ventunesimo secolo, dobbiamo essere determinati a far realizzare il nostro sogno di un’istruzione di qualità. Realizziamo uguaglianza, giustizia e pace per tutti. Non solo i politici e i leader del mondo, ma tutti dobbiamo fare la nostra parte. Io. Voi. È nostro dovere.
Dobbiamo metterci al lavoro, non aspettare. Chiedo ai ragazzi come me di alzare la testa, in tutto il mondo. Cari fratelli e sorelle, diventiamo la prima generazione a decidere di essere l’ultima: classi vuote, infanzie perdute, potenziale perduto, facciamo in modo che queste cose finiscano con noi.
Che sia l’ultima volta che un bambino o una bambina spendono la loro infanzia in una fabbrica.
Che sia l’ultima volta che una bambina è costretta a sposarsi.
Che sia l’ultima volta che un bambino innocente muore in guerra.
Che sia l’ultima volta che una classe resta vuota.
Che sia l’ultima volta che a una bambina viene detto che l’istruzione è un crimine, non un diritto.
Che sia l’ultima volta che un bambino non può andare a scuola.
Diamo inizio a questa fine. Che finisca con noi. Costruiamo un futuro migliore proprio qui, proprio ora. Grazie.