Luca Traini, quel 3 febbraio scorso (noi ne abbiamo parlato qui e qui), era perfettamente lucido, in grado di intendere e di volere, quando ha impugnato la sua pistola, è salito in macchina e, in giro per Macerata, si è dato alla caccia casuale e cieca di cittadini stranieri neri, ferendo deliberatamente sei persone. E poi, infine, avvolgersi in una bandiera italiana e fare il saluto fascista di fronte a un monumento.
Non lo rivelano le perizie psichiatriche né gli articoli della stampa, ma lo dice la sentenza pronunciata ieri da un tribunale..
La notizia si è diffusa nella rete in pochi minuti, rimbalzando in ogni direzione. Gli otto giudici della Corte d’Assise hanno accolto tutte le richieste del Procuratore, mettendo nero su bianco la condanna di Luca Traini a 12 anni di carcere, tre anni di libertà vigilata che dovrà eventualmente scontare dopo il periodo di reclusione, con l’accusa di “tentata strage, porto abusivo d’armi e danneggiamenti con l’aggravante dell’odio razziale”. Tuttavia, la corte gli ha riconosciuto le attenuanti generiche, che unite alla riduzione di un terzo della pena prevista dal rito abbreviato (a porte chiuse, ndr), consentiranno a Traini di uscire dal carcere a breve (l’imputato potrebbe tornare in libertà entro cinque anni), sebbene il procuratore della Repubblica avesse chiesto il massimo della pena a 22 anni.
Fin qui la cronaca. Nessun commento “social”, ovviamente, da parte di certi politici che avevano parlato di un povero “squilibrato”, reso tale da “chi riempie l’Italia di clandestini” (citando le dichiarazioni dell’allora non ancora Ministro dell’Interno). Di fatto, la difesa di Traini ha cercato in ogni modo di avvalorare la perizia psichiatrica di parte (che parlava di Traini sofferente “di un disturbo bipolare della personalità e con una capacità di intendere e volere compromessa”), che lo raffigurava come soggetto “borderline”.
Tuttavia, durante l’udienza, c’è stato un “coup de theatre”: Traini ha chiesto scusa, leggendo una dichiarazione spontanea scritta su cinque fogli. Ho avuto “un’infanzia difficile”, ha dichiarato. Ma “non sono né matto né borderline”. Non fu dunque ordinaria follia, come si è voluto far credere per mesi.
Eppure, tutta l’attenzione della stampa, almeno nelle prime ore (tranne alcuni rarissimi casi rintracciati in rete ma poco diffusi sui social, come il pezzo su Vice o su The Submarine, e un commento di natura più giuridica alla sentenza su Melting Pot), si è concentrata, come in precedenza si era fatto per la sua presunta follia, unicamente sulle sue “scuse” e sul “pentimento”, e non sull’aggravante. Un ennesimo esempio di narrazione che distogliendo l’attenzione dalla gravità dell’atto compiuto a Macerata, ha l’effetto di sminuire e derubricare la notizia.
Invece, per il Procuratore di Macerata, si è trattato di «crimini d’odio commessi da persone schierate per le loro scelte ideologiche di estrema destra e di orientamento razzista». Il magistrato ha espresso soddisfazione anche per «una sentenza emessa in un tempo ragionevole in presenza di un fatto grave», e cioè otto mesi dall’evento oggetto del processo.
Questa sentenza però va letta in prospettiva, senza dimenticare il clima politico e sociale che l’ha preceduta. La tentata strage razzista (ora possiamo chiamarla così a ragion veduta) del 3 febbraio scorso è avvenuta nel pieno corso di una campagna elettorale già estremamente “tossica” e razzista, contribuendo a segnarne gli esiti.
E non dobbiamo neanche dimenticare che, dopo l’attentato, il 10 febbraio, in città c’è stata una grande manifestazione contro il razzismo ed il fascismo, a cui però non parteciparono i principali partiti politici, a fronte della presenza di più di 20.000 persone giunte da tutta Italia. Anzi, in quella occasione, il sindaco della città, che apparteneva al PD, chiese che non si facesse alcuna manifestazione. E numerose furono le polemiche sull’organizzazione dell’evento. Una manifestazione (sostenuta da decine di appuntamenti anche in città lontane) che però non s’è fermata nemmeno di fronte alle minacce dell’allora Ministro dell’Interno Minniti di vietare i cortei e al ritiro ufficiale di Anpi, Arci, Libera e Cgil dall’adesione (ma molti attivisti di queste organizzazioni in piazza per fortuna c’erano).
Quello che possiamo affermare è che per il momento si è chiuso un procedimento in primo grado, e che dopo la decisione, i giudici depositeranno le motivazioni entro 90 giorni, e solo allora leggeremo tutto il contenuto. Già da ora, la difesa annuncia il ricorso in appello, la cui impostazione tecnica dipenderà da come l’Assise avrà motivato la condanna.
Ad oggi, dividersi fra chi sostiene che si tratti di una condanna “esemplare” e chi la ritiene invece “leggera”, serve a ben poco. Ci dovrebbe, invece, far riflettere tutti questo “solito” e routinario tentativo di costruire una “normalità” anche attorno ad un fatto così grave, banalmente ridimensionato laddove l’attenzione viene concentrata con enfasi sulle “scuse” dell’imputato.