Notizie da paura: questo è il titolo del Quinto rapporto di Carta di Roma, presentato oggi a Roma presso la Camera dei deputati. Un titolo che si riferisce a quello che, secondo il dossier curato dall’Associazione Carta di Roma insieme all’Osservatorio di Pavia e in collaborazione con l’Osservatorio europeo per la sicurezza, è il perno intorno al quale ruota l’informazione massmediatica relativa all’immigrazione. “Nell’Italia del rancore, l’immigrazione è una delle questioni verso cui maggiormente si orientano ostilità e diffidenza”, si legge nel dossier, che riprende un’espressione con cui il Censis indica, nel suo 51esimo rapporto, la situazione del paese, in cui “non si è distribuito il dividendo sociale della ripresa economica, e il blocco della mobilità sociale crea rancore”. Un rancore che secondo i risultati del dossier di Carta di Roma viene indirizzato contro i cittadini di origine straniera: “secondo i dati di demos &Pi, cresce il senso di minaccia nei confronti di migranti e profughi: dal 33% del 2015 al 43% del 2017”.
In particolare, il dossier si focalizza sulla carta stampata, attraverso l’analisi di sei testate nazionali (Corriere della Sera, Giornale, Avvenire, Unità, Repubblica, La Stampa), e sul linguaggio della televisione, concentrandosi da una parte sui tg delle sette reti principali (Rai, Mediaset e La7), e dall’altra sui programmi di informazione e infotainment (ossia che si pongono a metà tra informazione e intrattenimento).
In linea generale, si registra un forte aumento dei toni allarmistici, “anche in relazione a temi che fino a poco tempo fa suscitavano, piuttosto, empatia, come le operazioni di soccorso in mare”, evidenzia Paola Barretta (Osservatorio di Pavia). 4 titoli su 10 hanno un potenziale ansiogeno, facendo riferimento ai giornali, in cui i temi più trattati sono stati la gestione dei flussi (prima voce nel 2017, con il 44%) e la criminalità e sicurezza (terza voce, con il 16%). Il fenomeno migratorio è centrale nelle prime pagine dei quotidiani: sono 1087 le notizie dedicate al tema. Ma la questione è come se ne parla: purtroppo, ancora, con un linguaggio emergenziale e fortemente emotivo, con un “uso delle parole performativo, che contribuisce non a dare la notizia, ma ad adottare uno sguardo ben preciso sulle cose”, sottolinea Barretta.
La stessa situazione si presenta prendendo in analisi il mezzo televisivo. Nel 2017 nelle edizioni del prime time dei tg le notizie relative al fenomeno migratorio sono aumentate, con un 26% in più rispetto al 2016. Anche nei telegiornali è stato dato ampio spazio al tema della gestione dei flussi, e si è visto un incremento di quasi dieci punti percentuali con riferimento alla dimensione della criminalità e sicurezza. E, stando alle parole di Ilvo Diamanti, direttore di Demos, è proprio la televisione a rappresentare il problema maggiore. “La carta stampata rincorre il linguaggio televisivo, e anche del web, per vendere copie. Ma resta ancora il mezzo dell’approfondimento: quindi, da una parte il titolo è urlato, ma poi resta ancora lo spazio dell’analisi. La televisione e il web invece usano una comunicazione rapida, che scorre velocemente, che deve catturare: e allora si utilizza la paura. Sulla paura si fanno ascolti”. E’ in questo discorso che si instaura con forza il ruolo della politica, emerso a più riprese durante la presentazione del dossier. “L’anno scorso alcuni temi sembravano superati, o quantomeno ridimensionati. Invece, sono tornati prepotentemente, soprattutto negli ultimi mesi. E guarda caso ci troviamo in periodo pre elettorale”: così Giovanni Maria Bellu, al termine del suo mandato da presidente dell’Associazione Carta di Roma. “Se si guarda anche ai dossier precedenti, l’ascesa dei torni allarmistici cade proprio nelle tre tornate elettorali”, sottolinea Bellu, il quale evidenzia la ricerca sistematica, da parte del mondo politico, dell’occasione per confondere le idee, per non fare chiarezza sui temi e preparare il terreno alla paura e al suo uso strumentale: ad esempio, è il caso della riforma della legge di cittadinanza. “Non è un caso che il mondo politico non voglia affrontare la discussione della riforma, e che alcuni esponenti di partito utilizzino il tema veicolando pregiudizi: strategie che hanno spostato anche l’opinione della società, che se prima si diceva d’accordo con lo ius soli, ora è contraria, senza però conoscere davvero i contenuti della riforma”. Gli fa eco Diamanti: “Sullo ius soli è stata fatta da una parte disiformazione, e dall’altra parte è calato il silenzio. Non si vuole affrontare il tema per paura di perdere voti: ma fare politica significa assumersi dei rischi e dei compiti, e nel caso della riforma della legge di cittadinanza, il compito della politica ora sarebbe quello di fare in modo che non spaventi, perchè è un tema lontano dalla questione della sicurezza. Eppure, succede l’opposto. Questo perchè la paura è uno strumento forte della politica, in particolare in campagna elettorale. La nomina di Minniti a ministro dell’interno deriva proprio da questo sentimento diffuso”, afferma.
Quello che invece dovrebbe allarmare, e molto, è il “passaggio dalle parole alle azioni”: a dirlo è Giuseppe Giulietti, presidente della Federazione Nazionale Stampa Italiana (che ieri ha sollecitato il ministero dell’Interno per la convocazione del Centro di coordinamento per le attività di monitoraggio, analisi e scambio di informazioni sulle minacce ai giornalisti), intervenuto durante la presentazione del dossier. “Sono sempre più frequenti gli attacchi fascisti a redazioni e giornalisti. E’ già accaduto in passato e lo abbiamo trascurato. Dobbiamo invece essere vicini a questi colleghi e alle redazioni, e le manifestazioni non bastano. Dobbiamo riprendere le inchieste per cui sono stati minacciati. Dobbiamo fare nostre le inchieste che danno fastidio”.
E per quanto riguarda le responsabilità del mondo dell’informazione? Bellu è chiaro: “La Carta di Roma è un codice deontologico. Quindi, per chi non lo rispetta ci dovrebbero essere delle sanzioni. Ci sono testate, e giornalisti, che da tempo violano sernza porsi alcun problema la prima regola del giornalismo, quella di rispettare la sostanza dei fatti. Davanti a questo tipo di atteggiamento perché non si prende in considerazione la radiazione dall’ordine?”, sollecita Bellu, deviando le possibili polemiche relative alla questione della libertà di espressione: “Non stiamo parlando di persone che esprimono la propria opinione privatamente, ma di professionisti che promuovono coscientemente cattiva informazione: e non si capisce perchè si debbano fregiare del titolo di giornalisti”.
Secondo Antonio Nicita (AgCom) “non ci può essere consenso sociale e legittimazione politica per chi diffonde falsa informazione contro chi non ha voce”. Un aspetto, quest’ultimo, evidenziato anche da Barretta: “Il punto di vista dei cittadini stranieri non esiste; diventano visibili solo in occasione di notizie legate al fenomeno migratorio”. “Stiamo costruendo una cultura razzista contro soggetti che non hanno voce né cittadinanza, che non sono rappresentati – evidenzia Nicita – Basare un certo tipo di informazione sul famoso concetto della libertà di espressione, quando viene di fatto negato il diritto di parlare, e di esistere, ad alcuni soggetti, rappresenta un vulnus molto forte all’interno della nostra società”.
Serena Chiodo