L’uccisione di Emmanuel Chidi Namdi compiuta a Fermo l’altro ieri è una violenza razzista ingiustificabile. Apprendiamo che il Ministro dell’Interno ha chiesto che venga contestata l’aggravante razzista per l’omicidio e ha comunicato che la commissione responsabile della domanda di asilo ha riconosciuto a Chinyery lo status di rifugiata. Tutte le alte cariche dello Stato hanno condannato pubblicamente quanto successo, esprimendo la propria indignazione.
Resta il fatto che Emmanuel non c’è più, e Chinyery, la compagna arrivata con lui in Italia per cercare protezione, non potrà più averlo al suo fianco.
Seguiremo con attenzione lo sviluppo delle indagini per ricostruire nei dettagli ciò che è successo: come spesso accade in casi gravi come questi, le dichiarazioni delle vittime e quelle degli aggressori non coincidono.
Non riusciamo in ogni caso a immaginare cosa significhi riuscire a sfuggire alle persecuzioni delle squadre di Boko Haram, dopo aver perso i genitori e un figlio in Nigeria, aver subito sopraffazioni in Libia e aver perso un altro figlio nel viaggio verso l’Italia.
Non possiamo immaginare il dolore di Chinyery che ha visto sfumare nell’arco di pochi minuti la convinzione di avere, finalmente, raggiunto un paese capace di garantire protezione a lei e al suo compagno e la possibilità di ricostruire, insieme, un percorso di vita.
Non ci riusciamo.
Ma una cosa sola sappiamo: quella di Emmanuel non è purtroppo l’unica morte avvenuta per razzismo nel nostro paese. E si accompagna a molti casi di violenza fisica anche grave, spesso di gruppo, che per fortuna non hanno compromesso la vita delle persone che le hanno subite.
La “condanna” unanime del fatto di Fermo che in queste ore da molte, troppe persone viene espressa pubblicamente, accompagnata dal “ma lo stato italiano presta più attenzione agli stranieri extracomunitari” – leggere per credere i molti post che commentano le notizie sulle principali testate on line – ci ferisce.
Quel “ma” è in gran parte il frutto di un dibattito pubblico avvelenato di razzismo, dei calcoli opportunistici di certe forze politiche, cui andrebbe forse data meno visibilità, e di un’informazione spesso parziale, superficiale quando non distorta sulle migrazioni e sull’asilo.
E allora, non emotività, ma lucidità e consapevolezza della gravità di quanto sta succedendo servirebbero per rafforzare la lotta contro il razzismo nel nostro paese. Abbiamo bisogno di un impegno trasversale che non può risparmiare nessuno: singoli e soggetti collettivi, associazioni e istituzioni, forze dell’ordine, magistratura e organi d’informazione.
Della morte di Emmanuel si dovrebbe parlare insieme nelle piazze delle nostre città in assemblee pubbliche aperte. Abbiamo bisogno di un’informazione corretta, di sensibilizzazione e, verrebbe da dire, di riumanizzare noi stessi.
Mettiamo in rete, da parte nostra, sul territorio strumenti, conoscenze e competenze per garantire un’effettiva tutela sociale, legale e psicologica delle vittime di razzismo.
Chiediamo una riforma della legge Mancino per sanzionare più rigidamente i delitti che hanno un movente razzista e la diffusione di idee e materiali che incitano alla discriminazione e al razzismo.
Torniamo a chiedere al Governo la stipula di un accordo con i principali gestori dei social networks per bannare i post razzisti.
Chiediamo conto di un Piano nazionale contro il Razzismo (2013-2015) ammuffito sulla carta anche perché mai finanziato.
Sono alcune delle cose da fare subito.
Intanto esprimiamo collettivamente, in tutti i luoghi e in tutte le forme possibili, la vicinanza a Chinyery e a tutte le realtà di Fermo che in queste ore sono al suo fianco.