E’ stata intitolata “Il dovere di accogliere”, che è un modo diverso di rivendicare il diritto ad essere accolti, l’assemblea organizzata a Roma il 16 novembre, seconda tappa del percorso che porterà i firmatari dell’appello Una di noi, uno di noi (si può firmare qui: https://sei1dinoi.org/firma-lappello/) alla manifestazione cittadina indetta per l’1 dicembre (appuntamento a piazza della Repubblica, ore 14). Seconda, perché segue quella svolta l’8 novembre sul diritto all’abitare e precede quella del 23 novembre, dedicata alla lotta contro le mafie, e quella del 29 novembre, in cui si riuniranno gli operatori della cooperazione sociale.
Diritto all’abitare, accoglienza, lotta antimafia e lavoro sociale hanno infatti molto in comune. Prima fra tutte la connessione con le molteplici forme di diseguaglianza economica e sociale che attraversano Roma e che i promotori di Una di noi, uno di noi vogliono combattere. In seconda battuta, ma non certo meno importante in questo momento, l’essere il bersaglio privilegiato del DL 113/2018 su “Immigrazione e Sicurezza (di chi non si sa)” che la prossima settimana si accinge ad essere discusso in Aula alla Camera, dopo essere stato approvato con un voto di fiducia al Senato.
Presso lo Scup Sportculturapopolare, spazio sociale occupato tre anni e mezzo fa nel quartiere tuscolano, venerdì scorso si sono incontrati più di sessanta tra operatori e attivisti sociali con l’obiettivo di condividere una riflessione comune sull’impatto che l’entrata a regime del Dl 113/2018 avrà sui richiedenti asilo e sui rifugiati presenti in città e sugli operatori che ad oggi lavorano nei progetti di accoglienza. “L’inchiesta di Mafia capitale ha cambiato in città la percezione diffusa dell’accoglienza che è stata identificata solo con il malaffare. Ma a Roma non c’è solo questo. Ci sono esperienze di qualità che vanno difese, soprattutto di fronte a un decreto violento come il DL 113/2018.” Sone le parole di Valentina, di A buon diritto, che ha aperto l’assemblea.
L’accoglienza del futuro alla luce del DL 113/2018
A illustrare alcuni dei risvolti peggiori del DL 113 è stato Antonello, avvocato e socio Asgi.
L’abolizione della protezione umanitaria è accompagnata dalla previsione di alcuni permessi speciali (per cure mediche, per calamità naturali e per atti di particolare valore civile) che però garantiscono una legalità minima: hanno una validità temporanea che varia tra i sei mesi e un anno, sono rinnovabili sinché permane la causa evocata per il rilascio; non consentono dunque di stabilizzare lo status giuridico dei richiedenti.
Il DL. 113 prevede il trattenimento dei richiedenti asilo a fini identificativi per un periodo che può arrivare sino ai sei mesi, laddove il cittadino italiano che si rifiuti di farsi identificare, può essere detenuto per un massimo di 24 ore. “La norma, – ricorda Antonello – fu introdotta nel 1978 dopo il rapimento Moro, allora e in quel contesto poteva risultare comprensibile; non servì a nulla, ma dopo che il corpo di Moro fu ritrovato, il Decreto legge fu approvato in via definitiva e l’abbiamo in vigore ancora oggi. Allora la sua approvazione suscitò dure proteste nelle forze di opposizione sociale; oggi una norma che prevede di detenere una persona per sei mesi non suscita analoga indignazione”.
Ma il fatto più grave è che per i richiedenti asilo in carcere è prevista una procedura accelerata di esame della domanda di protezione e sono state già costituite delle commissioni ad hoc: in sette giorni la domanda sarà esaminata, in caso di diniego sarà possibile fare ricorso, ma non avrà effetti sospensivi. Il che significa che sarà possibile procedere all’esecuzione del provvedimento di espulsione prima che sia noto l’esito del ricorso. Non solo. La procedura accelerata sarà applicabile a tutti i varchi di confine, dunque non solo nei porti di sbarco, ma anche negli aeroporti. L’emendamento che ha introdotto nel decreto al Senato la lista dei paesi terzi sicuri è scritta in modo tale da prefigurare dinieghi motivati in modo standardizzato, introducendo una violazione sistemica della Convenzione di Strasburgo per i diritti dell’uomo che vieta espulsioni collettive.
“Insomma, – ha sottolineato Antonello-, non solo il decreto modifica profondamente il sistema di accoglienza, ma è di fatto pensato per fare in modo che i richiedenti asilo nel sistema di accoglienza non ci mettano piede.” I “fortunati” che ci arrivano ottengono un permesso di soggiorno ma non possono richiedere l’iscrizione anagrafica: una previsione paradossale anche dal punto di vista dell’intento sicuritario di chi l’ha pensata: se sono un Sindaco preoccupato per la sicurezza del mio territorio, la prima cosa che dovrei desiderare è sapere chi ci risiede.
L’art. 14 del decreto prevede la possibilità di revocare la cittadinanza a chi, avendola acquisita per iure soli, commette una serie di reati di natura politica: una norma che contrasta in modo inequivocabile con l’art. 22 della Costituzione secondo il quale a nessuno può essere revocata la cittadinanza per motivi politici. Criminalizzazione del blocco stradale, rilascio delle pistole taser alla Polizia municipale, aumento delle pene per chi occupa spazi pubblici sono le altre disposizioni che corollano la cornice sicuritaria e fortemente repressiva del decreto.
La voce degli operatori
“Io non voglio fare la poliziotta”, Sara, cordinatrice del progetto Sprar di Arci Roma, uno dei pochi progetti che prevede l’accoglienza di donne in appartamento, ha denunciato bene come il DL. 113, prefigurando la mera accoglienza materiale, miri a distruggere il lavoro faticosamente costruito nel corso degli anni per costruire un sistema pubblico di accoglienza umano, diffuso sul territorio e finalizzato a facilitare l’inclusione sociale delle persone accolte.
“Quando vado in giro non dico quello che faccio”, ha confessato invece Marta, operatrice in un Cas, esprimendo in modo molto chiaro l’accerchiamento e l’isolamento vissuti da chi fa, in varie forme, accoglienza, percependosi come una “risorsa non riconosciuta”. Di sicuro, il DL. 113 cancellando i servizi di intervento sociale rivolti ai richiedenti asilo nei Cas (corsi di lingua, orientamento legale e al lavoro), avrà come effetto immediato quello di tagliare anche molti posti di lavoro.
Il DDL di Bilancio 2019 attualmente in discussione al Senato prevede infatti tagli significativi a partire dal prossimo anno: 400 milioni di euro nel 2019, 550 milioni di euro nel 2020 e 650 milioni di euro a decorrere dal 2021. La famosa “sforbiciata” è dunque giunta. Le risorse destinate allo Sprar restano più o meno invariate per il 2019 (389,8 milioni di euro). Grazie al combinato disposto delle norme del decreto con il nuovo schema di capitolato di appalto per la gestione dei centri di accoglienza, i tagli immediati si concentrano per ora sul sistema governativo (CAS, CDA, CARA, Hotspot). I “risparmi” previsti dovrebbero arrivare dall’abbassamento del costo pro die pro capite stabilito nel nuovo capitolato e “dall’economia di scala” che contraddistingue l’opzione per le grandi strutture. Ad oggi sono circa 150mila le persone ancora interne al complesso del sistema di accoglienza (governativo e Sprar): gli effetti del decreto sul secondo (che ad oggi conta circa 36mila posti di accoglienza) si esplicheranno probabilmente più lentamente.
Una grande parte dell’opinione pubblica si mostra, secondo alcuni sondaggi, favorevole alle scelte del Governo. Come si fa a riorientarla nella direzione dell’accoglienza e della solidarietà?
Claudio (Cemea) ha condiviso l’esperienza di Saltoimuri, rete di un centinaio di insegnanti che propongono un anno di lavoro sui diritti umani nel mondo della scuola e che si ritroverà il 24 novembre a Roma. Perché “da qui passano tutti e per combattere il vento di razzismo che soffia sui comportamenti quotidiani bisogna parlare con il vicino di condominio”.
“Alto e basso, insieme: questo il lavoro che occorre fare”, rincalza un altro Claudio, Arci Roma, operatore sociale da molti anni, ricordando che “i tagli all’accoglienza colpiscono gli italiani, e questo lo dobbiamo dire con forza”. Il lavoro di operatore sociale è duro perché spesso costringe a trovare le soluzioni per gli altri, ma è anche un lavoro che contamina di sè l’intero sistema di servizi sociali, e che potrebbe migliorarlo. “Fare accoglienza diffusa significa far stare le persone tra le persone” che è il modo migliore per costruire relazioni sociali meticce ed evitare grandi centri ghtettizzanti che quasi sempre finiscono per produrre problemi e conflitti con il territorio. L’accoglienza diffusa (in appartamento) si può fare anche in una città come quella di Roma. “Se ancora oggi i progetti di questo tipo a Roma sono solo due, non dipende da un problema tecnico, ma da una scelta politica”. Dunque “serve” che gli operatori si auto-organizzino e rivendichino la loro dignità.
Roberto, volontario di Baobab Experience, sgomberato per la 22esima volta pochi giorni fa, racconta che ci sono ancora molte persone che dormono per strada e dunque sono tornate per ora a piazza Spadolini. Molte le manifestazioni concrete di solidarietà, ma il freddo incombe e serve una soluzione alternativa. Roberto ricorda che l’accoglienza informale di Baobab Experience è nata per rispondere a una domanda che è stata trasformata in emergenza dalle istituzioni: l’accoglienza dovrebbe essere responsabilità pubblica, ma se il vuoto rimane, ecco che nascono esperienze come quelle di Baobab o delle molte occupazioni a scopo abitativo che a Roma offrono un alloggio a migliaia di persone.
Baobab invita intanto alla mobilitazione: “non possiamo arrenderci e pensare che il DL.113 diventi legge senza avere fatto nulla per fermarlo”. Un presidio è dunque convocato per venerdì 23 novembre alle ore 15.
Diversi gli interventi che hanno sottolineato l’importanza di fare rete perché per contrastare una strategia “reticolare” come quella portata avanti dal Governo, occorre evitare di disperdere le fragili forze delle reti di solidarietà. Con questo obiettivo, l’assemblea tornerà a riunirsi nelle prossime settimane.
Intanto gli appuntamenti più vicini sono tre:
23 novembre, ore 15: presidio a Roma, Spegnilamiccia al Dl Salvini;
23 novembre, ore 18,00, via dei Sesami, 20, assemblea cittadina Mafie, corruzione, zona grigia;
1 dicembre, piazza della Repubblica, ore 14: manifestazione cittadina di Una di noi, Uno di noi, Roma non sta a guardare, per una città libera dalle mafie, da ogni forma di discriminazione, di diseguaglianza e di razzismo.