Non è la prima volta che a Romelu Lukaku capitano episodi spiacevoli come i cori ascoltati a Cagliari dopo aver segnato il gol del 2 a 1 per l’Inter. E non è la prima volta che negli stadi italiani assistiamo a cori razzisti o a insulti nei confronti di giocatori stranieri e dalla pelle scura. Anzi.
In un articolo scritto in occasione dei mondiali del 2018 il bomber belga raccontava dell’infanzia dura e del modo in cui ha scoperto il razzismo. “Non dimenticherò mai la prima volta che ho sentito uno degli adulti dire: “Ehi, quanti anni hai? In che anno sei nato?”
E io tipo, “che dici? Parli seriamente?”
Quando avevo 11 anni e giocavo nelle giovanili del Lièrse uno dei genitori dell’altra squadra ha letteralmente cercato di impedirmi di andare in campo. Disse qualcosa tipo: “Quanti anni ha questo bambino? Dov’è la sua carta di identità? Da dove viene?”
Ho pensato, “da dove vengo? Che dice questo? Sono nato ad Anversa. Sono belga!”.
Dopo gli insulti di Cagliari, quello che è uno degli attaccanti più forti del mondo ha scritto su instagram il messaggio di protesta qui sotto. Il bomber se la prende con società, federazioni e social network che “parlano del problema da anni e non fanno nulla” e invita i calciatori a parlare, produrre una dichiarazione collettiva. Nel post Lukaku fa riferimento a episodi simili capitati negli stessi giorni in Gran Bretagna, dove però il tema del razzismo nel calcio è almeno affrontato dai club e dalla federazione con un po’ più di forza che non in Italia.
Cosa è successo in Italia? Niente per adesso. Non questa volta, anche se la Federazione annuncia la costruzione di una “squadra contro il razzismo”, una classica formula buonista all’italiana. Il Cagliari condanna i cori ma ci tiene a sottlineare che sono una minoranza. L’allenatore dell’Inter Conte parla di “mancanza di educazione”, mancando completamente il bersaglio. E la federazione annuncia la nascita di una squadra contro il razzismo composta di un giocatore per club di serie A. Sembra un po’ una di quelle iniziative buoniste e poco efficaci. Del resto, quando l’ex juventino Moise Kean si era arrabbiato con la curva del Cagliari per i cori razzisti contro di lui, in Italia avevamo discusso per giorni se la reazione fosse appropriata o fuori luogo. Allora il giudice sportivo non inflisse nessuna penalità o multa alla squadra perché “i cori hanno avuto portata limitata”. La stessa domenica nemmeno all’Inter erano state inflitte pene, nonostante cori razzisti della curva. La verità è che i giudici sportivi seguono il regolamento: sono gli arbitri, gli ispettori federali e la polizia che devono segnalare e episodi. Ma se i cori sono l’abitudine, questi non riterranno di dover fare una segnalazione. Servirebbero nuove indicazioni da parte della federazione. Dopo l’episodio di questa settimana a Cagliari la Fifa ha invitato le federazioni a interrompere le partite. Difficile che l’invito trovi un seguito se non per casi clamorosi.
Né le società, né la federazione hanno mai fatto molto per colpire le infiltrazioni di estrema destra nelle curve. Un’infilitrazione viva e vegeta se è vero che la curva dell’Inter due settimane fa celebrava Fabrizio Piscitelli, noto come Diabolik, il fondatore degli Irriducibili Lazio, neofascista violento divenuto criminale di livello e ucciso in un agguato dai tratti mafiosi a Roma qualche settimana fa.
In Gran Bretagna la reazione è spesso più dura di quella riservata in Italia a episodi come quello capitato a Lukaku, anche da parte dei club. Chelsea e Manchester United hanno preteso e ottenuto incontri con twitter e facebook dopo una pioggia di insulti contro loro giocatori Pogba e Abaraham. Incontri con i social li hanno chiesti anche l’associazione dei calciatori e Kick it out, la campagna anti razzista attiva da 25 anni. Twitter ha promesso di monitorare e proteggere gli account dei 50 giocatori neri più seguiti. Gli altri possono continuare a beccarsi gli insulti, come se il tema del razzismo riguardasse solo i campioni e non anche le squadre e serie minori. Ad aprile i giocatori della Premier avevano fatto un boicottaggio simbolico di 24 ore di tutti i social per protestare dopo altri episodi di razzismo.
Nel suo articolo di giugno Lukaku scriveva: “se non vi piace come gioco, bene, ma io sono belga, cresciuto ad Anversa, Liegi, Bruxelles, parlo francese e fiammingo e anche spagnolo o portoghese a seconda del quartiere dove sono. Sono belga, siamo tutti belgi e questo rende il nostro un Paese cool”. Come darlgi torto, o dare torto ai tifosi dei Timber, squadra di Portland, Oregon, in lotta contro la federazione perché vieta loro esporre simboli anti nazisti e anti razzisti. Qui sotto il loro silenzio di protesta interrotto da Bella Ciao.