Contro la tratta di esseri umani occorrono più strumenti, maggiormente definiti e coordinati tra loro: è questa, in sintesi, la richiesta che il senatore del Movimento 5 Stelle Luis Alberto Orellana rivolge al governo nella mozione 1-00391 presentata mercoledì 25 marzo 2015.
Stando ai dati elencati nella relazione statistica pubblicata dalla Commissione europea il 7 ottobre 2014, tra il 2010 e il 2012 nei 28 Stati membri dell’Unione europea sono state registrate 30.146 vittime di tratta, l’80 per cento delle quali donne e il 16 per cento minori. Una situazione che, per quanto allarmante, è addirittura parziale rispetto alla realtà: il documento infatti “non misura le dimensioni effettive della tratta, ma si limita a fornire dati sulle vittime e sui trafficanti che sono venuti a contatto con le autorità o con altri attori a livello nazionale”, come viene specificato nel testo della mozione. Una situazione che, per giunta, si acuisce in ragione dell’ “estrema vulnerabilità nei confronti dei trafficanti” di molti migranti che fuggono da aree di crisi o conflitto.
In un contesto del genere, l’assenza nella legislazione nazionale di un “esplicito riferimento alla natura del traffico di esseri umani quale violazione dei diritti umani” risulta grave, come grave è la mancanza di un piano nazionale d’azione contro la tratta e il grave sfruttamento. Piano che l’Italia avrebbe dovuto implementare entro 3 mesi dall’entrata in vigore del decreto legislativo n. 24 del 4 marzo 2014, recante “Attuazione della direttiva 2011/36/UE, relativa alla prevenzione e alla repressione della tratta di esseri umani e alla protezione delle vittime”. Secondo il senatore, risulta quindi urgente “rafforzare il framework istituzionale relativo alla lotta alla tratta, al fine di aumentare il coordinamento e assicurare un coinvolgimento più efficace e concreto di tutti gli organi e le autorità pubbliche” coinvolte. Autorità che non sono esclusivamente governative: è necessario coinvolgere anche “i principali sindacati nazionali” e “concentrare l’attenzione sul contrasto della tratta legata allo sfruttamento lavorativo delle vittime”. E’ inoltre importante “realizzare un efficiente e sistematico meccanismo di raccolta dei dati relativi al fenomeno della tratta”: dati utili sia per calibrare al meglio gli interventi di prevenzione e contrasto, sia per realizzare efficaci campagne di informazione e sensibilizzazione.
Dall’analisi del contesto nazionale proposta all’interno della mozione emergono due evidenze: da una parte, in Italia mancano quegli “strumenti tipicamente utilizzati in altri Paesi per la lotta alla tratta, quali una strategia (o piano) nazionale antitratta, un coordinamento nazionale di tutte le forze coinvolte, un referente nazionale per la lotta alla tratta di esseri umani, delle linee guida generali per l’identificazione delle vittime della tratta”. Strumenti di cui il nostro paese si dovrebbe avvalere per supportare “gli encomiabili sforzi svolti a livello regionale e locale”, come sottolineato dal Consiglio d’Europa. Dall’altra, i dispositivi che ci sono non vengono usati in modo efficace.
Eppure, convenzioni e norme internazionali puniscono il lavoro forzato e la tratta, sollecitandone la prevenzione e la repressione. Convenzioni che l’Italia ha ratificato, come la Carta dei diritti fondamentali della UE, che all’articolo 5 proibisce la schiavitù, il lavoro forzato e, al comma 3, la tratta di esseri umani. O la Convenzione ILO del 1930 per l’abolizione dell’impiego del lavoro forzato, ratificata dall’Italia nel 1934. Più recentemente, nel 2000 è stata presentata la Convenzione contro la criminalità organizzata transnazionale, con due protocolli addizionali dedicati rispettivamente alla prevenzione, repressione e punizione della tratta di persone – in particolare di donne e bambini – e alla lotta al traffico di migranti via terra, mare e aria. Il Parlamento italiano ha ratificato la Convenzione e i protocolli con la legge 16 marzo 2006, n. 146, mentre con la legge 2 luglio 2010 n. 108 ha firmato la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta degli esseri umani, adottata il 3 maggio 2005: convenzione che, rispetto ai precedenti strumenti di diritto internazionale, ha definito la tratta di persone una delle più gravi violazioni dei diritti umani, insistendo sull’adozione di concrete misure volte a proteggere e assistere vittime e testimoni. In particolare, la Convenzione ha richiesto agli Stati aderenti l’adozione di specifiche politiche nazionali di coordinamento e sensibilizzazione, nonché di misure per individuare e sostenere le vittime. Proprio al fine di monitorare l’implementazione delle disposizioni della Convenzione nei Paesi firmatari, è stato istituito un meccanismo di controllo basato sul Group of experts on action against trafficking in human beings (Greta). Nella prima valutazione relativa all’Italia, risalente al 4 luglio 2014, il gruppo ha evidenziato “numerose criticità circa la lotta alla tratta di esseri umani nel nostro paese”.
Anche nella legislazione nazionale sono presenti strumenti di contrasto allo sfruttamento e alla tratta. L’articolo 18 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 (Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), prevede il rilascio di uno speciale permesso di soggiorno per consentire allo straniero di sottrarsi alla violenza ed ai condizionamenti dell’organizzazione criminale e di partecipare ad un programma di assistenza ed integrazione sociale. Più nello specifico, l‘articolo 13 della legge 11 agosto 2003, n. 228 (Misure contro la tratta di persone), prevede l’istituzione di uno speciale programma di assistenza per le vittime dei reati previsti dagli articoli 600 e 601 del codice penale (Tratta di persone e riduzione in schiavitù).
L’organismo che a livello governativo si occupa di coordinare e implementare le politiche antitratta – che la mozione chiede di potenziare – è il Dipartimento per le pari opportunità, dipendente dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, la cui azione si basa su tre principali tipologie di strumenti: “il numero verde; i progetti finalizzati a garantire, per un periodo minimo di 3 mesi, assistenza alle presunte vittime di tratta e a quelle già identificate come tali ai sensi dell’articolo 13 della legge n. 228 del 2003; i progetti che trovano il loro fondamento giuridico nell’articolo 18 del testo unico sull’immigrazione”.
Gli strumenti nazionali dunque ci sono. E l’Italia si inquadra in un contesto internazionale di lotta allo sfruttamento e alla tratta, e di protezione delle vittime. Questo nella teoria.
Nella pratica, però, manca l’effettiva applicazione delle misure previste. Una mancanza che ricade pesantemente – e, questo si, in modo concreto – sulla vita di troppe persone.