“Invasione: di qualsiasi cosa che irrompa in un luogo occupandolo. In patologia, la diffusione nell’organismo di agenti infettivi”. La definizione è dell’enciclopedia Treccani. Se si avevano dei dubbi, quindi, che si dipanino subito: la parola scelta da L’Epresso per titolare l’articolo di Stefano Pitrelli e Michele Sasso è tutt’altro che neutra. “Invasione”, a caratteri cubitali. Sopra, la fotografia di un gruppo di migranti su una nave della Marina Militare (qui l’articolo).
Il messaggio sotteso colpisce subito, rimarcato nel sottotitolo: Si temono 120mila sbarchi e un miliardo di spesa. Un costo che l’Italia da sola non può sostenere. E i centri sono già nel caos.
Numeri e costi. A questo, nel dibattito pubblico odierno, è stata ridotta la “questione migratoria”. Con un tocco ansiogeno – neppure troppo lieve – : si temono, caos, non può sostenere..
Tutti elementi che ritornano costantemente.
La situazione è senza precedenti, di dimensioni bibliche. E’ questo l’incipit dell’articolo che, subito, parla dell’operazione Mare Nostrum. In questi termini: L’Italia ha aperto un varco nel Mediterraneo, garantendo con la sua flotta il soccorso e il trasferimento nel nostro Paese a chiunque prenda il largo. Un’operazione [..] che ha drasticamente ridotto il numero di vittime nella traversata. Ma per ogni barcone che viene salvato, altre migliaia di persone si accalcano sulle spiagge. Ma: l’avversativo sembra quasi suggerire il concetto che sì, Mare Nostrum salverà anche delle vite umane, ma il contraltare è l‘esodo di migliaia di persone, di una marea di disperati che l’Italia accoglie, e che secondo i giornalisti de L’Espresso rappresentano un costo economico e sociale enorme. Di che portata? Lo si spiega nel paragrafo intitolato Onda umana. Basandosi sulle stime del Viminale e sui dati del Partito per la tutela dei diritti dei militari (Pdm), Pitrelli e Sasso parlano di 600 milioni spesi per assisterli (dall’inizio di Mare Nostrum). Ma il carico per la collettività è in realtà molto più alto: proprio stando ai dati del Pdm, dall’inizio dell’operazione il conto è di 172 milioni. Il bilancio di un anno di missione potrebbe superare i 237 milioni. Forse abbiamo capito male, ma 237 milioni sono meno di 600. Sono stime, previsioni future e ipotesi che, seppur con il condizionale, hanno l’inevitabile effetto di creare nel lettore ansia e timore, in particolare in anni di tagli, disoccupazione, crisi economica. Tra l’altro, a ben vedere, gli stessi giornalisti specificano che la stima è in parte virtuale, perché alcuni costi ci sarebbero anche se le navi rimanessero ferme.
Qual’è invece la realtà attuale? Per che tipo di assistenza vengono usati tutti questi soldi, viene da chiedere guardando le cifre elencate nell’articolo. Il vero nodo è che tutto viene gestito all’insegna dell’emergenza, arrangiandosi. Ecco che, dismesse le cifre urlate e abbandonati i toni allarmistici, la realtà può finalmente emergere.
Non ci sono accordi formali per il transito dei profughi verso il resto d’Europa. Le nostre autorità stanno tacitamente violando le regole che impongono l’identificazione al momento dello sbarco, permettendo così a siriani ed eritrei di fare domanda d’asilo altrove. Per chi resta invece c’è una grande incertezza. Non esiste una regia centrale.
Eccolo il nodo, ed ecco le persone, che fanno capolino tra i numeri e i dati, tra le ondate e le invasioni.
Una situazione di “emergenza” che emergenza non è, e lo evidenziano anche Pitrelli e Sasso. L’Italia, come ha appena sottolineato un rapporto dell’Osce, è il paese in assoluto con il maggior flusso di immigrati ma non è capace di integrarli nella società. Questo accadeva anche prima della recessione, oggi le chance di trovare un lavoro sono ancora più ridotte. E ancora: la rete dei centri dove dare vitto e alloggio si è intasata già a inizio dell’anno. Da allora sostanzialmente si improvvisa.
Di fronte a questa situazione, parlare di “emergenza” è scorretto semanticamente: “inadeguatezza e problematiche strutturali” è forse più pertinente. E, di fronte a tutto questo, la frase di prima, una marea di disperati che l’Italia accoglie, perde, almeno un po’, di senso.
Nelle convenzioni sancite con i gestori dei vari centri di accoglienza sono elencati diversi servizi, ma la realtà è ben diversa: mancanza di luce e acqua, nessuna distribuzione di vestiti o assistenza medica, strutture fatiscenti, senza nessun servizio di assistenza. Queste sono le situazioni presenti in alcuni centri, presi ad esempio dai due giornalisti. In generale, una situazione di dignità negata agli ospiti costretti spesso a vivere in pietose condizioni igieniche, cibo immangiabile, pochi mediatori culturali e assistenti legali. Il tutto con l’ombra pesante della speculazione: i trenta euro al giorno a persona stanziati, stando all’articolo, dal Ministero dell’Interno, sono una strada libera per affaristi senza scrupoli e associazioni last minute, per criminalità e politici a caccia di voti. Insomma, dall’invasione vissuta con timore si arriva a dire Grazie sbarchi, visti i fondi portati dall’onda lunga degli sbarchi e il conseguente salvataggio di posti di lavoro.
Il ruolo dei media si dimostra sempre più importante nella conoscenza, o meno, di un fenomeno che fa ormai parte della quotidianità del nostro paese. La scelta dei termini, dei titoli, dei toni, non è irrilevante. Pochi giorni fa Nando Pagnoncelli (ne abbiamo parlato qui) evidenziava, commentando un sondaggio pubblicato dal Corriere della sera, un “pesante problema di informazione” che lascia spazio a un dibattito “drammatizzante” per quanto riguarda l’immigrazione e la presenza di cittadini stranieri in Italia.
Se ne dovrebbe tenere sempre conto, quando si ha a che fare con un fenomeno dalle innumerevoli sfaccettature.