All’inizio del 2019, sono oltre 602 mila le imprese condotte da lavoratori stranieri in Italia. Si tratta di un decimo di tutte le aziende registrate presso le Camere di Commercio (9,9%). Nel corso del 2018, come negli anni precedenti, il loro numero ha continuato a crescere (+2,5%, pari a 15mila aziende in più), in controtendenza rispetto al resto della base imprenditoriale.
E’ quanto racconta il nuovo Rapporto Immigrazione e Imprenditoria, realizzato dal Centro Studi e Ricerche IDOS in collaborazione con la Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa (CNA) e con il contributo dell’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni (OIM) – Ufficio di Coordinamento per il Mediterraneo, presentato oggi in una diretta online, trasmessa su Facebook e Youtube.
Il Rapporto fotografa l’eterogeneo universo dell’imprenditorialità immigrata, analizzandone le caratteristiche e le articolazioni, e individuando le strategie di intervento più adeguate a valorizzarne l’apporto.
Il volume, secondo un’impostazione consolidata, si struttura intorno alla presentazione organica dei dati raccolti nel Registro delle Imprese. L’analisi, pur centrata sul caso italiano, è condotta a più livelli (comunitario, nazionale e regionale) e, grazie a un articolato piano di approfondimenti, contribuisce a scomporre la complessità del fenomeno, restituendo l’immagine di un panorama composito e in continua evoluzione, in cui il dinamismo e l’intraprendenza dei migranti si traducono in situazioni molto diversificate, che vanno dall’autoimpiego di sussistenza ad esperienze imprenditoriali strutturate e caratterizzate fin dall’inizio da un rilevante valore innovativo. L’edizione bilingue, italiano-inglese, che caratterizza anche questa edizione 2019/20 del Rapporto, apre la riflessione a una platea più ampia di lettori, guardando tanto al mondo dell’immigrazione italiana (a partire dalle reti associative e, in un’ottica transnazionale, dalle rappresentanze delle Istituzioni dei Paesi di origine), quanto a studiosi, operatori del terzo settore e decisori pubblici interessati alla promozione di analisi comparative e allo scambio di buone prassi in ambito comunitario e internazionale.
Quest’oggi alla presentazione, dopo una serie di interventi da parte dei partner del progetto, che hanno sottolineato la valenza e l’importanza dei dati ottenuti anche per un possibile confronto a livello europeo, è toccato poi a Maria Paola Nanni, curatrice per conto di IDOS del volume, illustrare più nel dettaglio i dati salienti del fenomeno fotografati al 31 dicembre 2018. Come abbiamo anticipato, il numero delle attività indipendenti dei cittadini stranieri in Italia ha continuato a crescere, dando un contributo di rilievo agli equilibri dell’intero sistema di impresa nazionale. Dal commercio all’edilizia, dalle attività di ristorazione alla manifattura, dalla logistica ai servizi alle imprese, le iniziative autonomo-imprenditoriali gestite dai migranti si sono diffuse in tutte le regioni, affermandosi definitivamente come una componente strutturale del tessuto d’impresa nazionale, che trova i suoi “punti di forza” in un accentuato dinamismo e in un’altrettanta accentuata capacità di adattamento alle esigenze del mercato.
I dati raccolti e analizzati nel Rapporto evidenziano questa rilevante crescita, che si accompagna a una lenta (ulteriore) diversificazione del profilo dell’imprenditore immigrato: una categoria sotto la quale si raccolgono caratteristiche ed esperienze molteplici e sempre più variegate.
Tra il 2011 e il 2018 le attività indipendenti degli immigrati sono aumentate di 148mila unità (+32,6%), mentre quelle guidate da lavoratori nati in Italia sono diminuite di 158mila (-2,8%).
Con 8mila imprese in più in un anno e un aumento di quasi 110mila dalla fine del 2011 (+43,0%), il settore dei servizi conferma il suo ruolo di traino. Raccoglie infatti il 60,7% di tutte le imprese a gestione immigrata.
Meno dinamico l’andamento dell’industria (+18mila dal 2011, +10,8%), che mantiene un andamento positivo ma sconta le accentuate difficoltà degli ultimi anni.
Tra i singoli comparti, resta forte il protagonismo del commercio (35,1% del totale) e dell’edilizia (22,4%), che primeggiano in tutte le regioni e nell’insieme continuano a raccogliere oltre la metà di tutte le attività. Nei servizi, primeggiano le attività di noleggio, le agenzie di viaggio e di servizio alle imprese, affiancate da quelle di alloggio e di ristorazione.
La ditta individuale rappresenta la forma d’impresa più diffusa (77,7%). A crescere di più, però, sono le società di capitale, praticamente raddoppiate dal 2011. In aumento anche la partecipazione dei cittadini di origine straniera alle start-up innovative. Gli imprenditori coinvolti provengono innanzitutto da Marocco (14,1%), Cina (11,5%) e Romania (10,7%): i primi tradizionalmente concentrati nel commercio (70,1%), gli ultimi raccolti soprattutto nell’edilizia (60,0%) e i cinesi, caratterizzati da una maggiore flessibilità ma quasi per il 70% impiegati nel commercio e nella manifattura.
Gli immigrati imprenditori si concentrano soprattutto al Centro-Nord (77,4%) e nelle grandi aree metropolitane. Ma la Campania è la regione che negli ultimi anni ha registrato la crescita più elevata, mentre la Toscana si distingue per la percentuale più alta di aziende realizzate da stranieri rispetto al numero totale delle imprese. Se nelle regioni settentrionali (con la sola eccezione del Veneto) prevale l’edilizia (con una punta del 41,7% in Liguria), al Centro e soprattutto al Sud primeggia il commercio (75,7% in Calabria, dove si tocca il valore massimo).
La seconda parte della presentazione ha invece offerto un piccolo focus sulla imprenditoria straniera al femminile. Le donne guidano un quarto delle attività imprenditoriali in mano a lavoratori di origine straniera (24% come tasso di femminilizzazione, 145mila in totale le imprese gestite da cittadine straniere su 1 milione 337 mila imprese femminili registrate in Italia), con un aumento del 37,4% rispetto al 2011 e del 3,3% nel 2018. Uno spaccato importante, inquadrato attraverso una più ampia prospettiva di genere, che vede comunque le donne migranti essere spesso doppiamente discriminate ed escluse perché “donne” e perché “migranti”. Tuttavia, nell’ambito proprio dell’imprenditoria al femminile si realizzano i più soddisfacenti percorsi di inclusione socio-lavorativa delle donne straniere, che associano ad una soddisfazione personale di auto-realizzazione quella di essere protagoniste di una contro-narrazione che va a scardinare antichi stereotipi. E la presenza e la testimonianza di due donne straniere imprenditrici durante la presentazione odierna l’ha dimostrato.
Le conclusioni sono state affidate alla viceministra degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, Emanuela Del Re: “Mai come in questo momento il nesso tra migrazione e sviluppo può avere un nuovo impulso nell’ottica di una visione concettualmente diversa del fenomeno migratorio”, ha dichiarato. “L’accostamento del concetto di sviluppo a quello della migrazione ci consente di superare il problema di considerare la migrazione un fenomeno transitorio e di acquisire una visione concettuale completamente diversa che permetta di realizzare un programma di sviluppo serio e strutturato per far avanzare le società e dare opportunità agli individui di sviluppare le loro capacità”. In questo senso, “l’imprenditoria immigrata apporta un elemento qualitativo di straordinaria importanza perché mette insieme e costituisce una sintesi fra l’immigrazione – e le difficoltà che essa comporta – e i paesi di accoglienza, che sono chiamati a dare risposte adeguate anche in termini di opportunità”, ha detto Del Re, sottolineando come la cooperazione allo sviluppo sta puntando molto sul settore privato anche sulla base del contributo degli immigrati. Un ruolo essenziale in tal senso, secondo la viceministra, è svolto dalle rimesse delle diaspore.