Macerata, 3 febbraio 2018. Intorno alle 11 di mattina, Luca Traini esce di casa, prende l’auto, si ferma al bar e da un benzinaio annunciando che sta andando a “sparare ai negri”, quindi si reca a Macerata. Si aggira nelle strade del centro e inizia la sua “caccia”, munito di una pistola semi-automatica. Inizia a sparare dal finestrino dell’auto, scegliendo i suoi bersagli, uno ad uno, tra i passanti neri che gli capitano a tiro. Sono circa trenta gli spari, alcuni dei quali colpiscono una donna e cinque uomini stranieri. Quella che inscena, prima di farsi arrestare, è una vera e propria esibizione razzista. Luca Traini viene accusato di strage, porto abusivo di armi e danneggiamenti con l’aggravante “dell’odio razziale”. Traini, come sarà appurato poi, non è un folle, ma è lucido e in pieno possesso delle sue capacità di intendere e di volere. La tesi della “follia” e della vendetta sostenuta nelle prime ore, e il racconto delle scuse e del pentimento, proposto con grande visibilità in occasione delle due sentenze, sono due momenti complementari della vicenda: servono a suggellare una “tesi” interpretativa ben nota, quella che in occasione delle violenze razziste più gravi cerca di ricondurle al frame della “paura” percepita nel paese. È già successo, per fare solo alcuni esempi, con la strage compiuta a Firenze nel 2011, con le barricate erte a Gorino nel 2016, e succede di nuovo a Macerata. Per approfondire sia il tentativo di liquidare il violento raid di quel giorno come il gesto isolato di un folle sia l’iter giudiziario, scarica la scheda.