Il 6 maggio 2019, in via Satta, nel quartiere di Casal Bruciato a Roma, alcuni residenti scendono in strada per protestare contro l’assegnazione di un alloggio popolare a una famiglia rom proveniente dal campo La Barbuta: un uomo bosniaco, sua moglie e 12 figli, tutti nati in Italia. Il giorno seguente, la famiglia partecipa a una riunione in Campidoglio alla fine della quale decide di rimanere nell’abitazione che le è stata assegnata, malgrado le proteste. Al ritorno di alcuni componenti della famiglia nell’abitazione, è tutto un caos di urla e spintoni; persino un irripetibile “ti stupro” rivolto alla mamma bosniaca con in braccio una bambina, pronunciato da un attivista di CasaPound. Il quartiere si divide in due: da una parte il gazebo di CasaPound, installato all’interno del cortile del palazzo in cui abita la famiglia rom; dall’altra, il movimento Asia Usb, che, insieme ad altre organizzazioni, manifesta in solidarietà dei rom. A separarli, due cordoni della Polizia in tenuta antisommossa. Dopo la manifestazione dell’8 maggio, alcune associazioni decidono di presentare un esposto alla Procura di Roma contro CasaPound, ipotizzando il reato di minaccia e propaganda, istigazione a delinquere per motivi di discriminazione “razziale” fino all’apologia del fascismo. Casal Bruciato, come Torre Maura, esemplificano molto bene come un fatto che dovrebbe essere ordinario possa provocare un vortice di xenofobia e di razzismo. Scarica qui la scheda.