Il 16 aprile 2012, Alina Bonar Diachuk, cittadina ucraina di 32 anni, si suicida nel commissariato di Villa Opicina, piccola frazione vicino Trieste. Lo fa legando una corda al termosifone della cella in cui è stata rinchiusa a chiave due giorni prima. Alina è morta impiccata dopo 40 lunghi minuti di agonia durante i quali nessuno dei poliziotti in servizio ha visto o sentito nulla. Fra i principali indagati Carlo Baffi, responsabile dell’Ufficio Immigrazione, su cui gravano le accuse di sequestro di persona e omicidio colposo. Insieme a lui, altri 8 agenti. In quel Commissariato, Alina ha perso la vita, ma non è stata la sola a subire abusi e violenze: come lei, tanti altri cittadini stranieri in attesa di espulsione e trattenuti illegalmente nelle celle di Opicina. Sono ben 174 i casi accertati, dall’agosto 2011 fino ad aprile 2012. Nel giugno 2018, il Gip emette una sentenza di assoluzione per gli imputati, ma la battaglia giudiziaria è ancora aperta e tutta da giocare, in sede di appello. Gli esiti finali dipenderanno molto dal “peso” della prossima sentenza. Di sicuro, nessuna somma, per quanto ingente, potrà mai restituire la vita ad Alina.
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