“Non avere paura”, “Io accolgo”. Due campagne, due titoli intenzionalmente evocativi. In mezzo: dieci anni di storia del movimento antirazzista italiano. Nel 2009, come nel 2019, il tentativo è quello di riorientare lo sguardo di una parte dell’opinione pubblica nella direzione dei principi di uguaglianza, di solidarietà, di non discriminazione. Si sceglie di operare sull’immaginario collettivo (la rappresentazione del cittadino straniero) sperando, per questa via, di spostare il baricentro sicuritario delle politiche pubbliche sulle migrazioni e sull’asilo verso l’orizzonte dei diritti. Nel primo caso, la strategia prescelta è quella di scendere sullo stesso piano discorsivo dell’avversario: “non avere paura” si rivolge a chi si è sentito raccontare per mesi che lo straniero è il principale nemico della “nostra” sicurezza. Nel secondo caso, si opta per la contrapposizione frontale: tu respingi, io accolgo. Il filo che lega queste due strategie comunicative, così diverse l’una dall’altra, ci aiuta a ricostruire, certo sommariamente, la ricchezza e la creatività espresse dalle molte mobilitazioni del movimento antirazzista italiano degli ultimi dieci anni, ma anche i loro limiti e le sfide ancora aperte. È il filo ruvido e indurito che ha ordito “la trappola dell’emergenza permanente”. Scarica qui l’intero contributo.