La fonte ufficiale di riferimento più attendibile è quella offerta dall’Osservatorio ODIHR/OSCE che pubblica ogni anno un rapporto internazionale sui reati di odio, alimentato dai dati ufficiali forniti dalle Forze dell’Ordine e da OSCAD (Osservatorio per la Sicurezza contro gli atti discriminatori) [1] e integrato dalle informazioni fornite dalle organizzazioni della società civile. Gli ultimi dati pubblicati disponibili si riferiscono al 2018, ma OSCAD ha anticipato in Italia i dati forniti a ODIHR per il 2019, sia pure non consolidati: il numero di reati riportati ha registrato una tendenza crescente passando dai 472 reati riportati nel 2013, ai 1.111 del 2018. Il dato non consolidato per il 2019 riporta 969 reati discriminatori, registrando una lieve inversione di tendenza.
I dati forniti sono disaggregati sulla base di tre moventi (o meglio categorie di movente): xenofobia/razzismo [2], orientamento sessuale e identità di genere, disabilità. Tale disaggregazione evidenzia una netta prevalenza dei reati di matrice razzista e xenofoba, passati dai 194 segnalati nel 2013, pari al 41,1% del totale, ai 726 registrati nel 2019, il 74,9% del totale.
Nella nota con cui OSCAD ha diffuso i suoi ultimi dati, è specificato che “per l’ambito etnico/razziale/religioso è stato possibile fornire un dato complessivo giacché la normativa vigente in materia non distingue le specifiche finalità discriminatorie)” [3].
I dati disponibili sono suddivisi anche in base alla tipologia di reato. Il grafico sottostante evidenzia come tra i reati denunciati di matrice xenofoba e razzista nel 2019, i casi di incitamento alla violenza, le profanazioni di tombe, le violenze fisiche e i casi disturbo della quiete pubblica siano risultati quelli più numerosi.
Non sono purtroppo pubblicamente disponibili dati recenti relativi ai procedimenti giudiziari avviati e alle sentenze di condanna adottate per perseguire questo tipo di reati.
L’altra fonte ufficiale di riferimento è costituita dall’UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali). L’ufficio, istituito nel 2003 e collocato presso il Dipartimento delle Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio, ha il compito di garantire il diritto alla parità di trattamento e di contrastare le discriminazioni raccogliendo segnalazioni, fornendo assistenza alle vittime, svolgendo attività di ricerca e analisi, promuovendo attività di sensibilizzazione, riferendo in merito a Governo e Parlamento. L’ambito di competenza dell’ufficio è diverso da quello di OSCAD: UNAR si occupa infatti dei casi di discriminazione che non hanno rilevanza penale.
Gli ultimi dati pubblicati si riferiscono al 2018 [4]. Su 2.473 segnalazioni ricevute nell’anno tramite il call center, le associazioni che fanno parte della rete Unar, un apposito monitoraggio sul web, il monitoraggio della stampa e altre fonti residuali, 2.331 sono state giudicate pertinenti, ovvero effettivi casi di discriminazione.
I casi trattati dall’ufficio nel corso dell’anno comprendono però anche segnalazioni giunte nel 2017 per un totale di 4.068 casi. E’ su questi che l’ufficio offre alcune informazioni relative al movente discriminatorio. E anche in questo caso, come del resto negli anni precedenti, il movente “etnico-razziale” risulta il più ricorrente (70,4%), seguito da quello religioso (10,1%) e da quello che fa riferimento all’orientamento sessuale (7%). Le discriminazioni mosse da pregiudizi legati alla disabilità (5,4%), all’età (4,1%) e a pregiudizi multipli (3%) sono meno ricorrenti.
Nella relazione del 2018, sono forniti dettagli sui moventi specifici che ricadono nell’ambito del pregiudizio “etnico-razziale” e religioso che consentono di individuare i gruppi maggiormente colpiti dalle discriminazioni segnalate a UNAR.
Il colore della pelle costituisce il movente in ben 886 casi di discriminazione trattati, circa un terzo delle discriminazioni di natura “etnico-razziale” di cui l’ufficio si è occupato nel 2018. Un dato che sembra confermare ciò che Lunaria ha denunciato da tempo, il forte ritorno di antiche forme di razzismo biologico che, nel 2018 in modo particolare, sono tornate a colpire le persone “nere”.
I dati sopra illustrati sono di natura amministrativa, prodotti cioè dalle autorità competenti a contrastare le discriminazioni e il razzismo con attività di monitoraggio e di assistenza alle vittime, di raccolta delle denunce e di investigazione. Pur costituendo una base di informazione fondamentale per la conoscenza e l’analisi dell’evoluzione del razzismo nel nostro Paese, rappresentano solo quella parte di discriminazioni e di violenze razziste che sono oggetto di denuncia e di segnalazione.
Come ha osservato l’ECRI (European Commission against Racism and Intolerance) nel suo ultimo Rapporto dedicato all’Italia, il principale limite che caratterizza il nostro paese dal punto di vista della raccolta di dati è la persistente mancanza di un sistema nazionale coordinato, sistematico e trasparente di raccolta di dati sulle discriminazioni e le violenze razziste (ECRI, 2016) [5]. I dati raccolti dall’UNAR (Ufficio nazionale contro le discriminazioni “razziali”, dall’OSCAD (Osservatorio per la Sicurezza contro gli atti discriminatori), nella banca dati del Sistema di indagine della polizia giudiziaria (SDI), dal Ministero della Giustizia e dall’ISTAT (Istituto Nazionale di Statistica), differiscono infatti per le finalità e le metodologie di rilevazione, per i tempi di pubblicazione, per i sistemi di classificazione adottati e per l’eterogeneità del campo di osservazione.
I dati ufficiali devono dunque essere letti tenendo conto dei limiti che li caratterizzano. Va in ogni modo osservato che, in particolare negli ultimi tre anni, si sono moltiplicati gli impegni istituzionali per avviare una maggiore collaborazione tra le diverse autorità competenti [6].
[1] I dati sono forniti combinando i dati del “Sistema di Indagine – SDI” (estratti dal CED interforze) che attengono ai reati con finalità discriminatorie che hanno “copertura normativa” (ossia relativi a “razza”, etnia, nazionalità, religione e appartenenza a minoranze linguistiche nazionali), con le segnalazioni OSCAD che riguardano gli ambiti discriminatori privi di specifica copertura normativa (relativi ad orientamento sessuale ed identità di genere). Per la disabilità, sono combinati i dati SDI relativi alla contestazione della circostanza aggravante di cui all’art. 36 L. 104/1992 con le segnalazioni OSCAD concernenti lo specifico ambito discriminatorio.
[2] Sono classificati in questa categoria i reati registrati nel database SDI (Sistema di Indagine Interforze) con un movente che denota un pregiudizio contro la “razza”/colore della pelle, l’etnia Roma e Sinti, la nazionalità, la lingua e la religione.
[3] La nota “OSCAD ed il monitoraggio dei reati di matrice discriminatoria” è stata diffusa in occasione del convegno sui reati di odio organizzato il 21 Gennaio 2020.
[4] Si veda: UNAR, Relazione al Presidente del Consiglio dei Ministri sull’attività svolta e al Parlamento sull’effettiva applicazione del principio di parità di trattamento e sull’efficacia dei meccanismi di tutela, 2018, disponibile qui: http://www.unar.it/wp-content/uploads/2020/01/Relazione-al-Parlamento-e-al-Presidente-del-Consiglio-2018.pdf.
[5] Il Rapporto è disponibile qui: https://www.coe.int/t/dghl/monitoring/ecri/Country-by-country/Italy/ITA-CbC-V-2016-019-ITA.pdf.
[6] Oscad ha organizzato tra il 2018 e il 2019 due seminari in cui ha riunito Unar, il ministero della Giustizia, Istat e alcune associazioni al fine di scambiare opinioni e buone prassi sulle metodologie di raccolta dei dati. Unar ha avviato di recente la costituzione di un tavolo sull’hate speech composto da rappresentanti dei ministeri maggiormente coinvolti, Oscad, Istat e alcune associazioni impegnate sul tema.