In Italia e altrove, a caratterizzare l’attitudine e il dibattito pubblico nei confronti del razzismo − nonché dei diritti dei migranti, dei rifugiati, delle minoranze – sono perlopiù la mancanza o la debolezza del senso dello sviluppo, della processualità, della lunga durata. È la retorica della prima volta: di fronte a manifestazioni di razzismo pur gravi o estreme, a prevalere nella coscienza collettiva come tra non pochi locutori mediatici, istituzionali, politici, perfino fra taluni intellettuali di sinistra, è la tendenza a rimuoverne i segni premonitori e gli antecedenti; ma anche a sottovalutare o ignorare la propaganda, le politiche, i provvedimenti legislativi che li hanno favoriti o che, almeno, hanno contribuito a creare un clima propizio all’espressione del razzismo, anche il più brutale.
Così è stato pure nel corso dell’ultimo decennio, caratterizzato da punte massime di violenza razzista. Annamaria Rivera ricostruisce il ruolo svolto dai movimenti di estrema destra nel processo di normalizzazione del razzismo acceleratosi nell’ultimo decennio, esemplifica le forme di antiebraismo, anti-islamismo e anti-ziganismo che si sono ripetute nel tempo ed evidenzia come il razzismo istituzionale e la tanathopolitica abbiano caratterizzato l’operato dei diversi Governi che si sono succeduti nel tempo.