Pochi giorni fa, dall’emittente statunitense Cnn ci arrivavano le terribili immagini di una vera e propria compravendita di esseri umani. Un’inchiesta – durata tre anni, e condotta da Nima Elbagir, giornalista sudanese – ha svelato l’orrore oltre l’orrore, la presenza, in Libia, della schiavitù. Una scena “inspiegabile nel 2017, un’esperienza orribile, una delle cose peggiori mai viste” l’ha definita la giornalista. Un ritorno a un passato oscuro, a una barbarie che pensavamo fosse ormai alle nostre spalle: ma la storia si ripete, e ci chiama a essere protagonisti.
Vogliamo accettare tutto questo passivamente? Anche questo ennesimo orrore passerà nel tritacarne dell’informazione rapida, per essere dimenticato? Sembrerebbe di si. Non che siano mancate le reazioni da parte di diversi esponenti istituzionali: il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres si è detto “inorridito”, e ha chiesto “a tutte le autorità competenti di indagare su queste attività senza indugio e di consegnarne i responsabili alla giustizia”. “Quanto abbiamo visto accadere in Libia per i rifugiati e per i profughi è assolutamente inaccettabile”, ha dichiarato il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani, che ha annunciato l’invio di una delegazione ufficiale di deputati europei, dal 16 al 22 dicembre, per “verificare la situazione nel paese, con particolare riguardo agli sforzi delle autorità libiche per avviare un processo di stabilizzazione”. Più puntuali le parole dell’Alto commissario dell’Onu per i diritti umani, Zeid Raad Al Hussein: “La politica dell’Unione europea di assistere le autorità libiche nell’intercettare i migranti nel Mediterraneo e riportarli nelle terrificanti prigioni in Libia è disumana”. “La nostra priorità è sempre stata e continuerà a essere quella di salvare vite, proteggere le persone e combattere i trafficanti”, ha risposto una portavoce dell’Unione europea, sottolineando che “i campi di detenzione in Libia devono essere chiusi perché la situazione è inaccettabile”. Ma le priorità espresse dalla portavoce europea sono state smentite da Zeid: “Gli interventi crescenti dell’Ue e dei suoi stati membri non sono stati finora indirizzati a ridurre il numero di abusi subiti dai migranti. Osservatori dei diritti umani si sono recati a Tripoli dall’1 al 6 novembre per visitare i centri di detenzione e intervistare i migranti detenuti, e sono rimasti sconvolti da ciò che hanno visto: migliaia di uomini, donne e bambini emaciati e traumatizzati, ammassati l’uno sull’altro, bloccati in capannoni, spogliati della loro dignità”.
Le parole dell’Alto commissario Onu inchiodano l’Europa e i paesi membri alle loro responsabilità, e di fronte alle immagini diffuse dalla Cnn le dichiarazioni dei rappresentanti istituzionali suonano vuote e di circostanza. Sono anni che si parla dell’inferno subito dalle persone nelle carceri libiche, sono anni che circolano immagini di persone ferite e torturate. Da anni si sa che la Libia, territorio di conflitti aperti e mai sanati, è un paese insicuro per i migranti che lo attraversano provando a raggiungere l’Europa. Per quanto riguarda la compravendita di esseri umani, la testimonianza della Cnn è fondamentale, perchè mostra delle immagini chiare e nette sull’accaduto. Purtroppo, già in passato altri avevano denunciato la situazione parlando esplicitamente di schiavitù: testimonianze a cui non era seguito nulla. Lo scorso agosto, un uomo intervistato da La Repubblica aveva dichiarato di essere stato venduto due volte. Lo scorso maggio, il fotoreporter Narciso Contreras diffondeva Lybia: A Human Marketplace, un reportage dal titolo tristemente evocativo. Ancora prima, lo scorso aprile, l’Oim denunciava la presenza di un vero e proprio “mercato degli schiavi”.
Il governo libico d’unità nazionale ha avviato un’inchiesta per far luce su quanto emerso grazie alla Cnn. Ma sinceramente le autorità europee non possono più permettersi di accomodarsi su questa presa di posizione libica. L’Europa, e a cascata i paesi membri – Italia compresa- hanno delle responsabilità, e non è più possibile individuare negli altri i colpevoli: i trafficanti nel caso delle terribili stragi in mare, i carcerieri delle prigioni libiche nei casi di torture, e ora le persone che hanno preso parte alla compravendita di esseri umani denunciata dall’emittente statunitense. Sono, queste, persone che hanno delle responsabilità. Ma non sono le sole. Situazioni di questo tipo si sono andate creando grazie a scelte politiche europee ben precise. L’Europa ha preferito stanziare fondi per il controllo delle frontiere, piuttosto che per l’inclusione. Ha sollecitato i respingimenti verso paesi non sicuri, ad esempio la Nigeria. Ha siglato accordi con paesi governati da dittature, ad esempio con il Sudan. Nello specifico, L’Italia ha firmato un patto con la Libia per trattenere i migranti sul proprio territorio in cambio di soldi – quanti, non è mai stato definito (per approfondimenti si veda qui). Un patto vergognoso, sancito sulla pelle delle persone.
A Parigi moltissime persone, soprattutto di origine africana, sabato 18 novembre hanno manifestato contro quanto denunciato dalla Cnn – subendo tra l’altro la repressione della polizia. La manifestazione è stata organizzata dal neonato Collettivo contro la schiavitù e ha visto l’appoggio concreto del mondo rap francese. Anche in molti paesi africani tante gente si è sollevata contro questa barbarie (solo per fare degli esempi, in Mali e in Burkina Faso), nonostante il silenzio dei mass media nostrani.
E noi, in Italia, come ci comporteremo di fronte a questa regressione dell’umanità? Non possiamo accontentarci di dichiarazioni istituzionali che di fronte a barbarie come quelle testimoniate dalla Cnn risultano sterili. Come società civile dobbiamo prendere atto delle responsabilità europee, dobbiamo pretendere delle reazioni vere e concrete. Dobbiamo alle persone che arrivano in Europa giustizia e rispetto. Lo dobbiamo alle ferite – fisiche e psicologiche – con cui arrivano. Lo dobbiamo ai morti che piangono, spesso senza nemmeno avere una tomba su cui farlo. Glielo dobbiamo per un senso di umanità che non possiamo perdere, e anche perchè, i contesti da cui scappano spesso sono legati a doppio filo con il benessere di cui godiamo noi, ne rappresentano l’altra faccia della medaglia. Non possiamo più girarci dall’altra parte.
Sarà possibile manifestare il proprio dissenso, venerdì 24 novembre nel corso di un presidio sotto l’Ambasciata libica a Roma. L’appuntamento è alle ore 15.30 in via Nomentana 365. Qui è possibile avere aggiornamenti e informazioni.