Amnesty International rende nota oggi, con un comunicato stampa, l’uscita di un nuovo rapporto che si basa su una missione di ricerca svolta in Libia a maggio e a giugno nelle zone di Bengasi, Kufra, Sabha, Tripoli, al-Zawiya e i monti Nafusa. La missione ha cercato di accedere a 19 centri di detenzione situati nell’ovest, nel sud e nell’est della Libia, tra prigioni ufficiali e strutture gestite dalle milizie armate, da organismi di sicurezza semiufficiali e da corpi militari, riuscendovi in 15 casi. Il rapporto di Amnesty International rileva come i cittadini provenienti dai paesi dell’Africa subsahariana, in particolare i migranti cosiddetti irregolari, continuano ad essere sottoposti ad arresti arbitrari, detenzioni a tempo indeterminato, pestaggi, torture e sfruttamento da parte delle milizie armate. Di solito, coloro che arrestano i cittadini stranieri non fanno distinzione tra migranti e altre persone che fuggono dalla guerra e dalla persecuzione nei loro paesi. La situazione è aggravata, poi, dall’assenza di contrasto, da parte delle autorità nazionali, del razzismo e della xenofobia nei confronti dei cittadini libici di pelle nera e dei cittadini provenienti dai paesi dell’Africa subsahariana. Il rapporto sottolinea poi il perpetrarsi di abusi sui detenuti, soprattutto nei confronti di quelli arrestati di recente. Amnesty International ha potuto constatare i segni di recenti pestaggi e di altre violenze in 12 dei 15 centri di detenzione visitati. Tra i metodi di tortura usati con regolarità, figurano la sospensione in posizioni contorte, le scariche elettriche e i pestaggi prolungati con svariati oggetti, come sbarre e catene di metallo, cavi elettrici, bastoni di legno, tubi di plastica, cannelle dell’acqua e calci dei fucili. Ci sono almeno 20 casi di morte in custodia a seguito della tortura da parte delle milizie a partire dalla fine di agosto 2011. Amnesty International ha raccolto queste testimonianza grazie ai numerosi incontri con attivisti, amministratori dei centri di detenzione, personale ospedaliero, medici, avvocati, detenuti, ex-detenuti, parenti delle persone uccise o che hanno subito delle torture durante la detenzione, cosi come membri dell’esercito e esponenti politici locali. Amnesty International ha criticato duramente le autorità libiche per non aver risolto la situazione di intere comunità sfollate con la forza durante il conflitto dello scorso anno e non ancora in grado di fare rientro nelle loro case, saccheggiate e poi distrutte dalle milizie armate. Le autorità libiche continuano a sottovalutare la dimensione e la gravità delle violazioni dei diritti umani commesse dalle milizie, sostenendo che si tratta di azioni individuali che vanno sempre considerate in relazione agli abusi subiti durante il regime di Gheddafi. Amnesty International chiede di riconoscere pubblicamente la gravità della situazione dei diritti umani, condannare in forma inequivocabile gli abusi commessi e dire a chiare lettere che azioni del genere non saranno più tollerate.
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