In questi giorni si è ripreso a parlare di Libia. Ci sono volute una nuova strage in mare e un’operazione di soccorso che ne ha sventata un’altra. Le testimonianze di tutti coloro che riescono ad arrivare in Italia sono inequivoche: la parte peggiore del proprio viaggio verso l’Europa è l’ultima. Proprio quella dove sono attive agenzie Onu e dove gli aiuti europei dovrebbero anche essere garanzia di rispetto dei diritti umani. Non è così e a testimoniarlo una volta di più c’è un rapporto scritto sulla base di interviste e visite ai centri di detenzione diffuso da Human Right Watch.
Ecco un passaggio che riguarda le condizioni di vita di chi passa per quel Paese con il quale cooperiamo per tenere le persone dall’altra parte del mare. In questo capitolo si raccontano anche storie di donne incinte denutrite e picchiate, di frustate sulle piante dei piedi, di abusi sessuali su minori. Durante la loro visita nel centro di detenzione di Tajoura due donne hanno cercato di uccidersi. Dopo essere state soccorse da altre detenute, le donne non hanno ricevuto assistenza dalle autorità. Nel centro di Tajoura non c’è personale medico.
Nel luglio 2018, i ricercatori di Human Rights Watch hanno visitato quattro centri di detenzione a Tripoli, Misurata e Zuwara dove hanno documentato condizioni disumane che comprendevano un grave sovraffollamento, condizioni insalubri, cibo e acqua di scarsa qualità che hanno portato alla malnutrizione, all’assenza di cure mediche adeguate, a violenze da parte di guardie, comprese percosse, frustate e uso di scosse elettriche.
I detenuti hanno detto che le guardie del centro di detenzione di al-Karareem li hanno picchiati sulla pianta dei piedi.I bambini migranti sono tanto a rischio quanto gli adulti di essere detenuti in Libia. Human Rights Watch ha visto numerosi bambini, inclusi neonati, detenuti in condizioni gravemente inadeguate nei centri di detenzione di Ain Zara, Tajoura e Misurata. Loro e i loro tutori, comprese le madri che allattano, non hanno un nutrimento adeguato. L’assistenza sanitaria per i bambini, come per gli adulti, è assente o gravemente insufficiente. Non ci sono attività regolari e organizzate per bambini, aree giochi o qualsiasi tipo di scuola. Quasi il 20% di coloro che hanno raggiunto l’Europa via mare dalla Libia nei primi nove mesi del 2018 erano bambini al di sotto dei 18 anni. Anche i bambini non sono esenti da abusi; abbiamo documentato le accuse di stupro e percosse di bambini da parte di guardie e contrabbandieri.
Occorre tenere conto del fatto che le persone detenute nei campi vengono rinchiuse sulla base di leggi degli anni di Gheddafi che punivano l’ingresso nel Paese e lasciano il periodo di detenzione indeterminato. La detenzione indeterminata e senza processo è vietata dalle convenzioni internazionali e questo dovrebbe essere un problema per l’Europa, che potrebbe almeno condizionare la propria cooperazione al rispetto delle leggi.
Quali cose importanti ci dice il rapporto HRW?
1. La cooperazione con le autorità libiche non sta funzionando e genera più abusi. Il numero di persone detenute nei campi libici è cresciuto a dismisura: nell’aprile 2018 erano 5200, oggi sono 8-10mila. Il numero è aumentato di molto a causa delle politiche europee: il sovraffollamento è infatti causato dall’aumento esponenziale di barche fermate in mare. Sappiamo meno dei campi non ufficiali, quelli dove i gruppi armati prendono in custodia le persone per poi trasferirle. Il trasferimento tra centri di detenzione e centri informali è totalmente arbitrario e casuale.
2. Le attività di rimpatrio volontario dell’IOM non funzionano: a) non sono volontarie, l’alternativa è il campo di detenzione libico; b) il numero crescente di persone detenute nei campi dimostra che non è un programma in grado di invertire una tendenza.
3. Il programma IOM e Unhcr per il quale i richiedenti asilo vengono trasferiti in luoghi gestiti da queste organizzazioni in Niger, dove si avvia la procedura per la richiesta di asilo e si attende la possibilità che chi viene riconosciuto rifugiato possa essere ricollocato in un paese europeo non è sufficiente. Unhcr non ha una infrastruttura adeguata, né un mandato adatto a gestire la situazione (la Libia non ha una legge e non è parte della convenzione sui rifugiati del 1951). La Libia consente a UNHCR di registrare come richiedenti asilo le persone provenienti da soli 9 Paesi, il che non consente all’agenzia Onu di prendere in carico persone che avrebbero diritto a chiedere asilo.
4. Dall’altro lato del mare i singoli Paesi europei non accolgono un numero adeguato di persone che passano per i centri in cui si fa domanda prima di entrare in Libia. L’Europa sostiene che i centri per la domanda di asilo in Africa servano a capire “chi davvero ha diritto”, ma poi non si rende disponibile ad accogliere. I mille posti di un centro Unhcr a Tripoli, dove le persone in transito avrebbero potuto vivere in condizioni dignitose, sono rimasti vuoti per mesi in attesa di un’autorizzazione delle autorità locali. IOM e Unhcr sono autorizzate ad operare in 12 porti, ma spesso i trasferimenti e gli sbarchi avvengono altrove o in orari nei quali il personale non è presente.
5. I comportamenti della Guardia costiera libica sono spesso violenti: sbarchi forzati a manganellate e colpi d’arma da fuoco o minaccia di affondare i barconi in mare sono tra gli episodi riportati da testimoni. Diverse testimonianze riferiscono del sequestro di soldi e beni che poi non vengono restiuiti.
6. Gli scontri a fuoco a Tripoli e altrove mettono a rischio le vite dei detenuti che a volte vengono abbandonati a loro stessi nelle prigioni da guardie in fuga dalle sparatorie tra fazioni.
7. “L’Italia, dove arriva la maggior parte dei migranti in partenza dalla Libia, è quella che si impegna di più a fornire assistenza materiale e tecnica alla Guardia costiera libica e ha abdicato a tutte le proprie responsabilità per il coordinamento delle operazioni di soccorso in mare nel tentativo di limitare il numero di persone che arrivano sulle sue coste”. Queste politiche, sostengono a HRW sono figlie di un “calcolo politico”, spesso sbagliato. HRW si riferisce al governo di centrosinistra, che ha promosso la cooperazione con Tripoli e scoraggiato il ruolo delle ONG nelle azioni di soccorso per poi perdere le elezioni anche sul tema dell’immigrazione.
HRW elenca le violazioni a trattati internazionali e leggi internazionali e ricorda come Europa e Italia riconoscano che quelle leggi vengono violate. E fanno diverse raccomandazioni sia alle autorità libiche che a quelle europee. Segnaliamo le seconde, perché ci riguardano. Riconoscere che l’operazione libica, per come è condotta oggi, è inefficace e sbagliata, e ripensarla; fermare i trasferimenti forzati in Libia; minacciare il blocco dei fondi se non vengono rispettate alcune norme minime; aumentare in maniera consistente le operazioni di soccorso in mare e aprire i porti italiani e maltesi ogni volta sia necessario; cambiare mandato all’operazione OIM in maniera che solo chi davvero vuole essere rimpatriato sia imbarcato su un aereo.
All’Italia HRW chiede di:
Smettere di finanziare o fornire altro sostegno bilaterale alla Libia, al fine di aumentare l’efficacia di quel paese per intercettare i richiedenti asilo e migranti prima che raggiungano il mare o prima che raggiungano le acque italiane, almeno finché le autorità libiche non cessano la pratica della detenzione arbitraria e non apportino miglioramenti significativi nelle condizioni e nei trattamenti nei centri di detenzione. Reindirizzare tale sostegno in iniziative multilaterali Onu;
Garantire che il Centro di coordinamento del salvataggio marittimo italiano mantenga il coordinamento delle operazioni di salvataggio nelle acque internazionali al largo della costa libica;
Garantire che le persone soccorse da gruppi non governativi, navi mercantili e navi militari possano sbarcare in un tempo ragionevole in Italia o in un altro luogo sicuro al di fuori della Libia;
Astenersi dall’istruire qualsiasi nave a consegnare le persone soccorse alle autorità libiche;
Collaborare con le istituzioni dell’Ue e altri stati membri per raggiungere un accordo affidabile per il trasferimento in altri paesi dell’Ue di persone salvate sbarcate in Italia.