All’indomani dello scandalo suscitato dalle terribili immagini relative alla compravendita dei migranti in Libia, diffuse dalla Cnn, Amnesty International denuncia con forza le responsabilità dei governi europei rispetto alle violenze subite dai migranti. “Libia: un oscuro intreccio di collusione”, è il nome del rapporto diffuso oggi dalla organizzazione non governativa, che descrive come i governi europei, per impedire le partenze dal paese, stiano attivamente sostenendo un sofisticato sistema di violenza e sfruttamento dei rifugiati e dei migranti da parte della Guardia costiera libica, delle autorità addette ai detenuti e dei trafficanti.
Accuse pesantissime, dunque, per l’Europa, e in particolare per l’Italia, dopo che il 2 febbraio scorso il presidente del consiglio Paolo Gentiloni e il primo ministro del governo di unità nazionale di Tripoli Fayez al Serraj hanno firmato un memorandum d’intesa (Mou) per il “contrasto dell’immigrazione illegale”, in cui si prevede che l’Italia finanzi infrastrutture per il contrasto dell’immigrazione irregolare e fornisca assistenza tecnica alla guardia costiera e alla guardia di frontiera libica. A tal proposito, video, fotografie e documenti esaminati da Amnesty International mostrano una nave donata dall’Italia nell’aprile 2017, la Ras Jadir, protagonista di un’operazione che nel novembre 2017 ha causato l’annegamento di un numero imprecisato di persone. Stando alla denuncia della ong, ignorando i più elementari protocolli la Ras Jadir avrebbe avvicinato un gommone in avaria a circa 30 miglia nautiche dalle coste libiche, senza lanciare in acqua gli scafi semirigidi di salvataggio per facilitare i soccorsi bensì costringendo i naufraghi ad arrampicarsi sugli alti bordi della nave, col tragico risultato che molti sarebbero finiti in acqua. Non solo: sul luogo sarebbe giunta un’imbarcazione della ong Seawatch, impegnata in operazioni di ricerca e soccorso, il cui equipaggio avrebbe messo in azione gli scafi di salvataggio. Le immagini diffuse da Seawatch e riprese da Amnesty mostrano il personale a bordo della Ras Jadir lanciare oggetti, fino a costringere gli scafi ad allontanarsi. Le stesse immagini mostrano i migranti percossi dall’equipaggio della Ras Jadir, e altri gettarsi in mare per sfuggire alle violenze della guardia costiera libica e tentare di raggiungere gli scafi di SeaWatch. Come segnala Amnesty, sebbene azioni pericolose della guardia costiera libica fossero già state documentate in precedenza, questa sembra essere stata la prima volta in cui in un’operazione del genere viene utilizzato un mezzo fornito da un governo europeo.
La ong lancia un’accusa anche rispetto alla complicità tra i funzionari della guardia costiera libica e le reti dei trafficanti. Nel 2017, la Guardia costiera libica ha intercettato 19.452 persone, riportate sulla terraferma e trasferite in centri di detenzione dove la tortura è la regola. “Mi picchiavano con un tubo di gomma perché volevano i soldi per rilasciarmi. Telefonavano ai miei a casa mentre mi picchiavano, per costringerli a mandare i soldi”, è la testimonianza di un uomo proveniente dal Gambia e detenuto per tre mesi in un centro libico, il quale, una volta rilasciato a seguito del pagamento del riscatto, sarebbe stato messo in un’auto diretta a Tripoli: “L’autista mi chiedeva ancora soldi. Diceva che fino a quando non avessi pagato avrei dovuto rimanere con lui, oppure mi avrebbe venduto”.
“I governi europei – ha dichiarato in un comunicato John Dalhuisen, direttore di Amnesty International per l’Europa – devono ripensare la loro cooperazione con la Libia sulle migrazioni e devono permettere alla gente di arrivare in Europa attraverso percorsi legali, che comprendano la ricollocazione di decine di migliaia di rifugiati”.