Saranno trasferiti tutti, in piccoli gruppi, verso altre zone d’Italia. E senza lasciare le impronte digitali.
Si chiude con una vittoria la protesta iniziata giorni fa dalle persone presenti nel CPSA di Lampedusa.
Mercoledì scorso circa quaranta persone, per lo più eritree, hanno manifestato davanti alla chiesa di Lampedusa contro la loro identificazione tramite la registrazione delle impronte digitali. Il sindaco dell’isola, Giusi Nicolini, ha ascoltato le ragioni dei manifestanti, rassicurandoli sulla volontà di trovare un accordo.
Ma la situazione del Centro di accoglienza di Contrada Imbriacola ha fatto crescere l’insofferenza dei migranti: sovraffollamento, persone che dormono su lenzuola stese a terra per mancanza di letti, minori portati al centro insieme agli adulti, trasferimenti dal Centro al resto d’Italia sempre più lenti e sporadici.
Così, sabato 20 luglio oltre duecento persone hanno deciso di sfilare verso gli uffici comunali in un corteo spontaneo, determinati a ottenere risposte.
Si è aperta una trattativa tra il sindaco, il parroco Don Stefano Nastasi e i portavoce della protesta. Come mediatore telefonico Don Mosé Zerai, sacerdote eritreo e direttore dell’agenzia Habeshia, riferimento per la maggior parte dei migranti provenienti dal Corno d’Africa.
Oggetto della trattativa: le impronte digitali che i migranti si rifiutano di lasciare. La questione, va sottolineato, non è l’identificazione: il problema è che, se “schedate”, le persone non potranno più spostarsi dall’Italia. Sono le direttive del regolamento Dublino, per cui l’accoglienza dei richiedenti asilo spetta al primo paese in cui arrivano, dove vengono registrati tramite le impronte digitali. Dal punto di vista della persona interessata, significa che dovrà stabilirsi, cercare lavoro, farsi una vita, nel primo paese in cui è arrivata, senza possibilità di spostarsi.
Il fatto è che le persone che hanno deciso di manifestare a Lampedusa, in Italia non ci vogliono stare. Conoscono bene le storie dei loro conoscenti, e sanno che la situazione generale è piuttosto problematica, senza lavoro, senza percorsi di inserimento sociale o economico, senza casa. Diversi rapporti denunciano la pessima condizione dei rifugiati nel nostro paese dove, è bene ricordarlo, manca ancora una legge organica sull’asilo.
Le trattative di ieri a Lampedusa hanno avuto un esito innovativo: le persone rientreranno nel centro di accoglienza, per poi essere trasferite in altre zone d’Italia, senza che siano prese loro le impronte digitali. Resta da vedere cosa succederà davvero una volta che saranno trasferite.
Un risultato davvero importante. Sarebbe utile non considerare questa misura come una sorta di “concessione” contestuale, ma approfittarne per aprire un dibattito serio e concreto sulla normativa europea: da poco è stato approvato il regolamento Dublino III, che non prevede alcuna modifica rispetto all’impossibilità delle persone di spostarsi dal paese di arrivo. E’ successo con una certa frequenza che alcuni tribunali abbiano, in via eccezionale, bloccato questo regolamento, per evitare di rimandare le persone in paesi dove non vi è certezza sulla tutela dei diritti dei richiedenti asilo. Tra questi paesi c’è anche l’Italia, verso cui, l’anno scorso, alcuni tribunali tedeschi hanno bloccato dei trasferimenti.