Oggi il quotidiano Il Manifesto ha pubblicato, nella sezione “Lettere”, la lettera scritta dal vice-presidente dell’Associazione “Prendiamo La Parola” in risposta agli attacchi indirizzati da Magdi Allam verso la Ministra Kyenge.
Pubblichiamo di seguito la lettera.
Lettera aperta a Magdi Cristiano Allam che chiede le dimissioni della ministra Cecile Kyenge
Sul suo sito, “ioamolitalia.it”, Magdi Cristiano Allam scrive una lettera firmata il 7 maggio 2013, indirizzata ai rappresentanti del popolo italiano nel Parlamento nazionale e in quello europeo, invitando loro a sottoscrivere la sua petizione per le dimissioni della ministra dell’integrazione, di origine africana, Cecile Kyenge. Certo, è facile insinuare che si tratta dell’ennesimo veleno spruzzato dal “sito dell’amore”; è facile dire che questo comportamento non ci sorprende e, che siamo giunti alla convinzione che gli articoli di Allam suscitano interesse solo per i loro titoli provocatori.
Certo, è comodo pensare e dire tutto questo, perché esonera la nostra mente dallo sforzo di capire e di rispondere ad un giornalista di fama nazionale, che ha raggiunto le vette del giornalismo italiano, avendo svolto ruoli di prestigio nei primi due giornali dello stivale, “Il Corriere della sera” e “La repubblica”.
Il nostro scrittore, contrariamente a quanto molti sostengono, scrive lucidamente nel fervore dell’ispirazione. Lo conobbi tantissimi anni fa quando, alle prime armi, venne a Mazara del Vallo per scrivere un articolo sull’immigrazione tunisina. I suoi scritti sono il frutto del suo impegno intellettuale e politico e rispecchiano le sue convinzioni religiose e culturali, anche se non ho ancora capito a quale religione appartiene né di quale cultura fosse impregnato. Comunque sia, essi meritano attenzione e sollecitano risposta. Per questo, vorrei tentare qui di rispondere alla lettera in cui chiede le dimissioni della Kyenge.
Allam inizia la sua lettera accusando la Ministra di aver “giurato il falso sulla Costituzione” e argomenta la sua accusa col fatto che dopo il suo giuramento, domenica 28 aprile al Quirinale, con la formula rituale: “Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell’interesse esclusivo della nazione”, la Kyenge, nella conferenza stampa, il venerdì 3 maggio, a Palazzo Chigi, ha detto: “Non potrei essere interamente italiana”. Egli afferma che c’è incompatibilità tra quest’ultima dichiarazione e “l’interesse esclusivo della nazione” che ogni membro del Governo deve salvaguardare. Se ci si limita a queste citazioni riportate da Allam, il ragionamento potrebbe sembrare logico e coerente.
Ma andando a leggere tutta la dichiarazione della Ministra, si scopre che il famoso giornalista ha omesso, in modo volontario, l’altra metà della dichiarazione della Kyenge che è consustanziale alla prima e senza la quale la prima diventa un falso. Per onestà intellettuale, occorre ricordare che Cecile Kyenge ha affermato che non potrebbe essere né interamente italiana né interamente congolese precisando appunto che è italo-congolese. Basterebbe una superficiale conoscenza socio-antropologica della società italiana oggi, come di altre società europee coinvolte col fenomeno migratorio, per capire che l’interessata non ha fatto altro che enunciare una banale verità scientifica. In queste società multiculturali gli individui non hanno un’identità monolitica bensì pluridimensionale. Una pluridimensionalità che non è priva di coerenza. La pluralità delle appartenenze culturali non è in contraddizione con l’appartenenza politica al paese in cui si vive, anzi, essa comporta una cittadinanza altrettanto plurima. Possiamo essere buoni cittadini italiani se siamo anche buoni cittadini europei e planetari. L’interesse esclusivo della mia nazione (l’Italia in questo caso) non può essere salvaguardato se viene meno il mio interesse alle vicende europee, alle questioni mediterranee, al destino di tutta l’umanità. Chi non si è reso conto che il mondo è attraversato da una fitta rete di intrecci e relazioni che ne hanno fatto un villaggio globale strettamente interdipendente, vive ancora nell’età della pietra. Banalità, queste, che non possono aver sfuggito all’intelligenza del parlamentare europeo. È allora legittimo pensare che l’incompatibilità di cui parla il giornalista è fondata su una pseudo argomentazione; anzi, è un esempio da manuale di come viene manipolata l’informazione a danno degli intervistati o comunque degli avversari politici.
Allam continua poi la sua argomentazione sulla linea dell’incompatibilità mettendo l’accento sul sentimento identitario espresso dalla Kyenge. “Per la prima volta nella storia della Repubblica – scrive il giornalista di origine africana – viene designato un ministro che dice di non essere e chiarisce che non intende diventare “interamente italiano” perché si concepisce come depositario di una doppia identità nazionale, italo-congolese, sostenendo candidamente di appartenere a due paesi e a due culture”. In verità, quando la Kyenge afferma di appartenere a due paesi e a due culture, essa esprime, non “candidamente” come sostiene Allam, ma consapevolmente il massimo livello di integrazione che possa raggiungere un immigrato. Integrarsi non significa cancellare il proprio passato tranne forse per l’ex egiziano. Vuol dire, al contrario, conservare il meglio della cultura di origine e coniugarlo con il meglio della cultura di arrivo, selezionando dall’una e dall’altra gli aspetti compatibili con i valori e i principi universali, per ottenere alla fine il massimo di sincretismo culturale possibile.
Mi viene a questo punto spontaneo chiedere all’ex egiziano cosa farà del suo nome arabo, cosa ha fatto del suo passato egiziano, dove ha nascosto i suoi ricordi d’infanzia, come ha potuto rimuovere gli affetti della sua famiglia di origine, cosa è rimasto degli abbracci di sua madre e degli sguardi teneri di suo padre.
Se lui vede incompatibilità tra il suo passato e il suo presente è una anomalia tutta sua. Anch’io, come la Ministra, ho doppia cittadinanza: sono tunisino e italiano. Significa doppia responsabilità politica, doppio sentimento di appartenenza, un passo in più verso l’appartenenza planetaria e l’etica universale. Ogni volta che vado dall’Italia verso la Tunisia o vice versa, il mio viaggio è insieme andata e ritorno, un dolce sentimento di tristezza e di gioia: la tristezza di lasciare i miei affetti e la mia terra e la gioia di ritrovare gli altri miei affetti e l’altra mia terra. Non sente, Allam, la stessa cosa? O forse non torna sul Nilo nemmeno col pensiero!
Rimproverando alla Ministra “un vizio d’origine, ossia la non adesione all’identità nazionale italiana in modo integrale ed esclusivo”, Allam rispolvera candidamente un concetto d’identità che l’Europa non vorrebbe più rivivere visto che ha causato lo sterminio di milioni di esseri umani, anche se oggi, tale concetto persiste nell’ideologia dell’estrema destra xenofoba e razzista ma per fortuna minoritaria.
Per quanto riguarda la dicotomia cittadini-immigrati che Allam, cittadino di origine immigrata, cerca di fomentare, voglio tranquillizzarlo, che nessuno vuole anteporre le istanze degli immigrati rispetto ai bisogni degli italiani. Per noi la società italiana è una e coesa, composta da vecchi e nuovi cittadini, uniti nella condivisione dei valori sanciti dalla Costituzione italiana e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, anche se siamo diversi per quanto riguarda l’origine culturale o la confessione religiosa.
Per quanto concerne la questione dello ius soli, contestata da Allam, l’iniziativa della Ministra è semplicemente la continuità di un dibattito nazionale italiano che aveva già raggiunto nella precedente legislatura un certo livello di consenso politico che faceva sperare. La lettera di Allam vuole portare indietro un’Italia che era quasi pronta ad accettare qualche forma di ius soli.
Non mi rimane che invitarlo a non temere la concessione della cittadinanza perché dietro quest’ultima vi è un idea di quella che dovrebbe diventare l’Italia di domani: un’Italia più solidale e più sicura perché non esclude parte di sé stessa. La cittadinanza condivisa è il modo migliore per costruire un patto di convivenza civile e democratica fra italiani ed immigrati in quanto nuovi cittadini. Per noi, cittadini immigrati o di origine immigrata, la cittadinanza italiana non è un’eredità né una casualità bensì una conquista, una scelta e un impegno civile.
Infine, chiedo a Magdi Cristiano Allam, proveniente d’Egitto, diventato più italiano degli italiani e più cristiano dei cristiani, e che incarna ormai – insistono i suoi avversari – un concentrato di integralismi che oscillano tra la schizofrenia e la paranoia, di ricordarsi e di recitare più spesso brani utili del suo Testo sacro: “Non molesterai il forestiero né lo opprimerai, perché voi siete stati forestieri nel paese d’Egitto” (Esodo 22, 20).
Abdelkarim Hannachi, Università di Enna – Kore, vice-presidente dell’associazione “Prendiamo La Parola” e membro dell’associazione Sinistra Euromediterranea.