Pubblichiamo qui di seguito una lettera aperta, diffusa su il manifesto il 24 novembre, scritta da Alessandro Leogrande, Igiaba Scego, Andrea Segre e Dagmawi Yi. Tra due giorni scade il termine per partecipare al bando con cui il governo italiano finanzierà progetti di «primissima emergenza a favore della popolazione dei centri migranti e rifugiati» in Libia. All’apparenza, dicono di voler «migliorare» questi centri , ma tutto il mondo ormai sa che sono «campi di concentramento». Le recenti manifestazioni di protesta davanti le ambasciate libiche, svoltesi tanto in Europa quanto in Africa, hanno portato alla luce le terribili condizioni disumane dei migranti sub-sahariani in tutto il territorio libico (noi ne abbiamo parlato qui). Un Ponte per… ha deciso da tempo di non partecipare a bandi della cooperazione italiana per la Libia e condivide i contenuti della lettera aperta, auspicando che anche le altre ONG italiane disertino il bando. E’ una esortazione corale a “disobbedire”, disertare: per cambiare l’ordine delle cose. Di fronte alle politiche securitarie e alla moltiplicazione dei lager libici non è più possibile restare a guardare. Si tratta di scegliere e praticare insieme strade diverse, subito. E nella lettera, si ricorda anche il grande appuntamento a Roma del 3 dicembre (leggi qui).
Mercoledì 29 novembre a mezzanotte scade il termine per partecipare al bando con cui il governo italiano finanzierà progetti di «primissima emergenza a favore della popolazione dei centri migranti e rifugiati» in Libia.
Le Ong italiane possono accedere a un finanziamento totale di 2milioni di euro, destinati a migliorare gestione e condizione di tre «centri migranti e rifugiati» dove «risiede parte della popolazione migrante mista in Libia». Si tratta a nostro avviso di un bando offensivo e vergognoso per almeno tre motivi:
Quei centri non sono «centri migranti e rifugiati» ma sono veri e propri «campi di concentramento», come ampiamente documentato da ormai decine di media e organizzazioni di tutto il mondo. La definizione che il bando governativo ne dà (appunto «centri migranti e rifugiati») è talmente inesatta e ipocrita da usare il termine rifugiati in un Paese dove questa categoria non può esistere, perché non riconosce la Convenzione di Ginevra.
L’intervento è previsto in «centri» dove (lo dice il bando stesso) la capacità di effettiva sorveglianza delle autorità ufficiali libiche è «in molti casi limitata», perché in realtà sono «gestiti da milizie locali». Le Ong italiane non hanno alcuna possibilità di agire in quei campi se non previo accordo con le milizie stesse, che ne gestiranno modalità di azione e relativo budget.
Il tutto serve a un’operazione d’immagine per raddolcire o addirittura coprire le conseguenze disumane e raccapriccianti delle misure di blocco e respingimento dei migranti messe in atto da Italia e Europa a partire da agosto scorso, costate per altro 100 volte di più di queste misure di «primissima emergenza».
Tutto ciò è inaccettabile.
Ci auguriamo che le Ong italiane sappiano non cedere a questo ricatto sin troppo evidente. Chiediamo alle persone, agli esseri umani che lavorano nelle Ong di avere la dignità di non partecipare a questo gioco e di unirsi a noi nel denunciare la scelta politica gravissima messa in atto dal governo italiano nell’attuare accordi con un Paese dove a governare sono milizie, violenza e razzismo. La non partecipazione delle Ong al bando sarebbe un segnale importante per chiedere ai governi europei un’inversione di rotta necessaria: la chiusura dei campi di concentramenti libici, la liberazione di uomini, donne e bambini e la garanzia di corridoi umanitari di fuga verso luoghi di reale accoglienza e sicurezza.
Anche di questo parleremo il 3 dicembre a Roma al Forum «Per cambiare l’ordine delle cose», a cui hanno aderito più di 700 persone da oltre 120 città d’Italia.